OUTLOOK 2023
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OUTLOOK 2023

DIECI INTERVENTI PER GUARDARE ALLE SFIDE DEL NUOVO ANNO. PRIMO CAPITOLO IL NEGOZIATO IN CORSO IN EUROPA SULLA RIFORMA FISCALE E IL SUO RUOLO NEL RIDURRE IL RAPPORTO DEBITOPIL DEGLI STATI E NEL RICONFIGURARE LA RELAZIONE TRA COMMISSIONE EUROPEA E I SUOI SINGOLI COMPONENTI. SAPRANNO I GOVERNI AFFRONTARLA E RISPONDERE COSI' ALLA RICHIESTA DI FELICITA' E CERTEZZA DEI CITTADINI EUROPEI?

Tim Harford, il famoso Undercover economist, riprende, sul Financial Times del 28 ottobre 2022, un’osservazione dello psicologo americano Daniel Gilbert. Nel suo libro Stumbling on Happiness (Knopf, 2006) Gilbert scrive che la maggior parte delle persone prende almeno tre decisioni importanti nella propria vita: dove vivere, che cosa fare e con chi farlo.

"Scegliamo le nostre città e i nostri quartieri, i nostri lavori e i nostri hobby, scegliamo i nostri partner e i nostri amici. Prendere queste decisioni è una parte così naturale dell'età adulta che è facile dimenticare che siamo tra i primi esseri umani a prenderle. Per la maggior parte della storia documentata (e tutta la preistoria umana) le persone vivevano dove erano nate, facevano ciò che avevano fatto i loro genitori e si associavano a coloro che facevano le stesse cose. I mugnai macinavano, i fabbri forgiavano, e i piccoli fabbri e i piccoli mugnai sposavano chi e quando gli veniva detto. Le strutture sociali (come le religioni e le caste) e le strutture fisiche (come le montagne e gli oceani) erano i grandi dittatori che determinavano come, dove e con chi le persone avrebbero trascorso la loro vita, il che lasciava alla maggior parte delle persone poco da decidere da soli”.

Francesco GiavazziMa le rivoluzioni agricole, industriali e tecnologiche hanno cambiato tutto questo, e la conseguente esplosione della libertà personale ha creato una serie sconcertante di opzioni, alternative, scelte e decisioni che i nostri antenati non hanno mai affrontato. Per la prima volta, la nostra felicità è nelle nostre mani e si forgia attrarverso una moltitudine di scelte.
Ma, osserva Gibert, le scelte non sono prive di limiti. Parafrasando un libro di Armistead Maupin Tales of the city: I racconti di San Francisco (Rizzoli, BUR 2004) “puoi avere un bel lavoro, un bell’appartamento e un bell’amante, ma non puoi avere tutti e tre allo stesso momento.” Questo è vero per le scelte individuali come lo è per le scelte poltiche.
Una regola che gli economisti (il primo fu il premio Nobel Robert Mundell) applicano da qualche decennio al trilemma “cambi fissi, indipendenza della politica monetaria e libertà di movimento dei capitali”: la cosiddetta “trinità impossibile”.

Dani Rodrik, a mio parere uno degli economisti più lungimiranti degli ultimi 40 anni, applicando il principio della trinità impossibile alla politica economica ci ricorda che si possono fissare delle regole a livello nazionale, ci si può integrare internazionalmente o si può lasciare che che la politica economica sia determinata dal popolo con libere elezioni, ma non si possono avere tutte e tre le cose contemporaneamente.

Il trilemma di Rodrik aiuta a riflettere sulle sfide che ci attendono nei prossimi anni. Proviamo a guardare all’Europa e ai suoi paesi membri partendo dall’Italia, ora che si è insediata una nuova maggioranza di governo, applicando la “trinità impossibile” di Rodrik.  In Italia la nuova maggioranza, ma vale per tutti i 27 stati membri, ha raggiunto il potere grazie a libere elezioni: questa condizione è immutabile. La scelta secondo Rodrik è quindi fra le altre due opzioni: integrazione internazionale o politica economica decisa a livello nazionale. Le due insieme sono incompatibili.

La Destra, almeno il maggior partito della Destra italiana, e questo vale anche per altre Destre europee, interpreta l’Europa come una Confederazione, non un’Unione. Ma strumenti di debito comune, come quelli che hanno reso possibile il programma Next Generation EU, richiedono un’Unione fra paesi: una Confederazione è una struttura politica troppo flessibile per essere compatibile con l’emissione di debito comune.

Del trilemma di Rodrik rimangono quindi le regole nazionali. Sembrerebbe quindi che se si vuole ripetere l’esperienza del Pnnr con emissione di debito comune bisogna rinunciare all’autonomia della politica economica nazionale. Poiché la politica monetaria è stata irreversibilmente abbandonata aderendo all’euro, l’unico strumento sul quale i paesi possono esercitare discrezionalità è la politica fiscale.

Al centro del dibattito politico del prossimo anno si colloca quindi il negoziato sulla riforma delle regole fiscali europee. A inizio novembre la Commissione Europea ha diffuso una Comunicazione sul ridisegno delle regole fiscali europee. La proposta è ambiziosa e rappresenta un netto cambiamento rispetto al passato.

Come ha scritto su lavoce.info Massimo Bordignon, “la Commissione prova ora a cambiare registro, proponendo un sistema meno meccanico, più growth friendly e più legato alle diverse esigenze nazionali. Le regole vengono dunque differenziate sulla base della situazione della finanza pubblica nei diversi paesi, proponendo in sostanza uno scambio tra regole più incisive per i paesi ad alto debito, cioè quelli che presentano più rischi per sé stessi e per gli altri (il club mediterranee, i sei paesi europei meridionali con un rapporto debito su Pil superiore al 90 per cento) e un’applicazione più graduale e più in linea con le aspirazioni dei singoli paesi.”

È una proposta che cerca di trasformare il rapporto tra Commissione e Stati membri, superando i tempi in cui gli Stati membri erano sempre alla ricerca di spazi di bilancio, mentre la Commissione svolgeva il ruolo di arcigna custode delle regole. Le regole in vigore fino alla pandemia, e poi temporaneamente sospese, favorivano questa situazione, essendo il prodotto di un accumulo di legislazione, con molteplici parametri di riferimento, non giustificati da principi economici razionali. La proposta della Commissione sposta la verifica dei conti su un obiettivo economico esplicito, la riduzione del rapporto debito-pil nel medio periodo: questo per favorire un regime in cui i singoli paesi assumano più direttamente la responsabilità per la propria stabilità finanziaria (e infatti nei piani di rientro sono previsti non solo interventi sul bilancio pubblico ma anche riforme).

La proposta della Commissione, continua Bordignon, “è sicuramente più ragionevole del sistema delle regole attuali e costruisce su quelle analoghe che nel frattempo sono state avanzate da parte di singoli studiosi e di organismi internazionali come il Fondo monetario internazionale e l’European Fiscal Board. È evidente anche il legame della proposta con l’esperienza del Pnrr; come in quel caso, ai paesi è richiesto, all’interno di una cornice indicata dagli organismi europei, di proporre un proprio piano di intervento, che dunque tenga conto delle esigenze nazionali. L’idea è che in questo modo il processo di correzione del debito, invece che essere percepito come imposto da Bruxelles, sia vissuto come un impegno nazionale, che in teoria dovrebbe coinvolgere, per la durata quadriennale o settennale del piano, sia il governo in carica al momento che l’opposizione. C’è dunque implicita anche una scommessa sulle capacità dei paesi ad alto debito di ancorarsi a politiche economiche coerenti con l’obiettivo, indipendentemente dai governi in carica.
Ma nel parallelismo con il Pnrr sta anche il limite più evidente della proposta; nel caso dei Piani nazionali di ripresa e resilienza sono le risorse europee che da un lato garantiscono il rispetto del Patto da parte dei paesi e dall’altro legittimano il controllo stretto della Commissione sui comportamenti dei governi.

Nel caso del piano di rientro dal debito, le sanzioni finanziarie (un po’ ridotte) restano sostanzialmente quelle attuali (mai applicate in realtà), con in aggiunta l’aspetto reputazionale derivante dall’impegno esplicito preso da un paese nei confronti del Consiglio europeo. Bisogna vedere se ciò sarà sufficiente a convincere i paesi più restii alla riforma che questa sia in effetti attuabile o non si risolva piuttosto in un rinvio infinito del processo di aggiustamento da parte degli stati con alto debito. Non a caso sia la proposta del Fmi che dell’Efb, a differenza di quella della Commissione, immaginano un ampliamento delle risorse comuni europee su cui si innesta un sistema sanzionatorio più rigido. A un accresciuto bilancio europeo verrebbero affidati compiti di finanziamento di politiche europee comuni e di supporto alla gestione del ciclo, con risorse che tuttavia verrebbero perdute se un paese non rispetta il piano proposto. Proprio come nel caso del Pnrr. Ma questa opzione, osserva Bordignon, non è prevista nel progetto della Commissione.

Vedremo se questa apertura della Commissione su una “ownership” nazionale delle politiche di bilancio, che è consistente con il Trilemma di Rodrik, riuscirà a ridurre il rapporto debito-pil nei paesi dove esso è troppo elevato. Certamente è la riforma economica più importante del 2023.

""Arnstein Aassvecarlo altomontevalentina bosetti
Donato MasciandaroMichele PoloGraziella Romeo
Eleanor SpaventaIntervista a Irene TinagliTHE PODCAST

di Francesco Giavazzi, professore senior di macroeconomia

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