Un'esperienza per due. Mentor e mentee crescono insieme
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Un'esperienza per due. Mentor e mentee crescono insieme

UNA NUOVA PIATTAFORMA RENDE PIU' AGEVOLE IL CONTATTO TRA GLI ALUMNI NEL MONDO

Ci sono momenti della vita professionale di ognuno in cui guardarsi alla specchio e dirsi che andrà tutto bene può non bastare per tranquillizzarsi: in quei momenti si vorrebbe il consiglio esperto e spassionato di qualcuno che ci conosce ma non è condizionato dall’affetto nei nostri confronti. Che opera nel nostro interesse ma ci parla chiaro, in base alla sua esperienza. Un mentor, insomma. Anche gli alumni Bocconi hanno questa possibilità. Un servizio di mentoring è infatti attivo presso la Bocconi Alumni Community dal 2014 e finora ha coinvolto un totale di circa 300 mentor e altrettanti mentee. Da qualche mese, inoltre, trovare il giusto match con un mentor è ancora più facile grazie alla nuova piattaforma Bocconi Alumni Connect, lanciata per rendere più agevole il contatto tra gli alumni del mondo. Una volta abbinati mentore e ‘discepolo’, come funziona, a cosa serve e come va affrontato questo percorso di confronto? Lo abbiamo chiesto a due coppie di mentor e mentee.

Il mentor
Massimo Leto di Priolo, alumnus 1971, consulente Banca Albertini spa

Il mentee
Nicoletta Poggi, alumna 2008, specialista rischio di mercato in Banco BPM

Perché ha scelto di proporsi?
Massimo: Ho iniziato questa esperienza cinque anni fa perché ero curioso di vedere cosa potesse rappresentare la figura di mentor nella pratica. Da allora, l’ho fatto tre volte.

Nicoletta: Stavo affrontando un periodo di transizione lavorativa, a fronte della fusione della banca per cui lavoro con un’altra. La mia idea di partenza era trovare un altro posto di lavoro, ma il mercato non offriva nulla di interessante e volevo consigli su come muovermi.

Che tipo di rapporto si crea tra i due?
Massimo: Si crea una relazione in cui il mentee ottiene una conoscenza del proprio lavoro che non otterrebbe in così poco tempo. Si pongono degli obiettivi, magari immaginando un percorso alternativo del mentee o nella stessa azienda oppure altrove. Mentor e mentee investono del tempo, per cui entrambi sono stimolati a non buttarlo via...

Nicoletta: Si crea un rapporto di grande fiducia e sincerità reciproca. E non può essere altrimenti, se si vuole che il rapporto sia proficuo e funzioni.

È facile entrare in sintonia?
Massimo: Io non ho mai avuto problemi. Mediamente ci vogliono uno-due mesi: se dopo tre mesi non è scattata la sintonia è meglio interrompere il rapporto. Si perderebbe solo tempo.

Nicoletta: Sì, è stato facile. Massimo ha avuto un approccio molto strutturato, ma da subito amichevole e sincero, oltre che sempre disinteressato e riservato.

Qual è il modo giusto di affrontare questa esperienza?
Massimo: Il mentor deve possedere vera umiltà e avere capacità di ascolto. Non deve mettersi a fare lezione. È quindi un’attività anche piuttosto impegnativa: se non si è veramente disponibili il mentee non si apre e non confida i propri problemi.

Nicoletta: È molto importante aprirsi ai nuovi spunti e ai punti di vista che si possono raccogliere, riflettendo e traendo da essi le proprie conclusioni.


Il mentor
Giuseppe Beretta, alumnus 1989, executive coach per Turning Point, talent scout e sales coach per Digital Attitude

Il mentee
Camilla Budelli, alumna 1995, già managing director AmTrust Revive presso AmTrust Financial Services

Qual è l’insegnamento più utile  che ne ha tratto?
Giuseppe: L’autenticità. Che non è un valore fine a se stesso, ma la condizione che rende efficace il rapporto. Fidarsi l’uno dell’altro consente di affrontare i temi in modo diretto e utile.

Camilla: Ne ho tratto soprattutto un insegnamento di esperienza: quello di ricevere un parere spassionato da una persona che mi ha inquadrato in fretta. È un’esperienza stimolante.

A cosa deve servire l’attività di mentoring e, al contrario, per cosa non bisogna fare l’errore di considerarla?
Giuseppe: Deve servire a trasferire esperienza e sapere. A mettere a disposizione consigli che siano basati su percorsi vissuti e non solo immaginati. Di contro, non deve servire a procurare un lavoro e questo deve essere ben chiaro fin dall’inizio. Così come deve essere chiaro, per il mentor, che non si va a dispensare lezioni teoriche.

Camilla: Come mentee può essere molto facile mettere sul tavolo le proprie preoccupazioni, ma se non si ha buona capacità di ascolto delle indicazioni del mentor e se non ci si mette in discussione, il lavoro serve a poco. Non si deve pensare che il confronto col mentor risolva il problema. Dal mentor si ottengono consigli e suggerimenti, ma l’azione concreta che ne deriva resta in mano a noi.

Cosa ha capito di sé da questa esperienza?
Giuseppe: 
Ho capito che io stesso, probabilmente, avrei avuto bisogno di utilizzare il mentoring in alcuni passaggi chiave della mia carriera. Ci sono momenti di solitudine in cui avere un mentor può essere molto utile. Inoltre, mi sono reso conto che i problemi sono gli stessi indipendentemente dal settore.

Camilla: Ho riguadagnato fiducia nell’agire e maggiore consapevolezza delle mie capacità. Ognuno di noi ha una certa idea di sé, è utile confrontarla con qualcuno: si possono scoprire nuovi tratti del proprio carattere.

Se dovesse riassumere questa esperienza in una-due parole, quali userebbe?
Giuseppe:
Direi che si tratta di un sapiente give-back. Ossia, è un modo per restituire un po’ di ciò che si è ottenuto.

Camilla: Costruttiva, perché è stata seria e utile allo scopo, e umanamente piacevole. Si è creato un rapporto di vicinanza che per me è molto importante in ogni relazione.



 


 

di Andrea Celauro

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