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Gianmario Verona, un anno tra gli alumni di tutto il mondo

, di Andrea Celauro
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna: questi i paesi visitati dal rettore, alcuni piu' volte, nel primo anno del suo mandato per conoscere i bocconiani sparsi per il globo

Quando racconta del suo rapporto con gli alumni, elencando i viaggi che in questo primo anno di rettorato ha svolto proprio per incontrarli, Gianmario Verona si illumina. Da novembre scorso è stato tre volte a New York, due volte a Londra e Parigi, una volta a Barcellona, una a Berlino e una a Boston, incastrando le tappe in mezzo ai mille altri impegni che il ruolo istituzionale richiede. Ha parlato, si è confrontato, ha ascoltato centinaia di bocconiani, ognuno con la propria storia e il proprio ricordo dell'Università.

C'è un fil rouge, un approccio comune nel rapporto con l'Università da parte di chi sta all'estero?
Avverto un attaccamento alla Bocconi veramente impressionante da parte di tutti. C'è un legame forte, un ricordo degli anni passati a Milano che resta impresso profondamente nella memoria e che spinge a far rivivere la comunità bocconiana a livello locale. Un elemento affettivo forte che produce quella che è solitamente la prima domanda che ti viene posta, ossia: «Dimmi come vi posso aiutare».

Nota invece differenze nel modo di essere alumni?
La differenza marcata è quella generazionale. Soprattutto nei gruppi più strutturati e attivi da più anni, vedo la presenza di tre fasce distinte - i più giovani, appena arrivati, quella delle persone della mia età e gli alumni più senior - che si riflettono anche in una diversa visione dell'Università. I senior, per esempio, hanno un'immagine della Bocconi che a volte può essere differente da ciò che nel frattempo l'Università è diventata.

Importante, quindi, il lavoro che è stato fatto nel tempo per creare una rete che sempre di più condividesse la stessa visione e lo stesso messaggio. Ma come si trasforma l'affetto in sostegno?
Inserendo l'elemento cruciale che questa è una comunità viva e che ti può aiutare. È il passo che stiamo facendo in questi anni. È da lì che nasce la disponibilità al give-back, al mettersi al servizio della comunità per restituire un po' di ciò che si è ottenuto. Quando mi scrivono i nostri alumni, noti o meno noti, che vengono a fare una testimonianza in Bocconi, leggo parole dalle quali traspare fierezza e desiderio di impegnarsi.

È qualcosa che, da rettore, rende orgogliosi?
Orgogliosi e fiduciosi nel futuro perché fa capire che quello degli alumni della Bocconi è un network dal potenziale immenso, non solo riguardo al placement e al fundraising, ma anche per l'attrazione di nuovi studenti (penso ad esempio ai figli di chi ha fatto carriera all'estero).

Tornando al give-back: nella sua relazione di inaugurazione dell'anno accademico ha ricordato l'impegno degli alumni per la community, che il loro presidente Riccardo Monti sintetizza nelle tre T di time, talent and treasure.
Sì, sono tutti e tre elementi chiave nel rapporto con l'Università. È fondamentale il sostegno dei donor, ma è altrettanto importante l'aiuto pratico degli alumni che mettono a disposizione la propria professionalità e il proprio tempo. Penso, per esempio, all'implementazione nel processo di selezione per l'Mba, come si fa nelle top school, di un primissimo screening dei candidati da parte degli alumni del master, prima ancora del processo di recruiting da parte dell'università.

Si costruisce un rapporto sempre più stretto. Per chiudere, quali tappe l'aspettano nel suo tour della comunità internazionale di alumni?
In questi giorni sono a Ginevra, a gennaio tornerò a Londra e a febbraio sarò a Zurigo.