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Dall'Italia agli Usa inseguendo l'innovazione

, di Lorenzo Martini
Pensiero strategico, sana leadership oltre alla capacita' di immaginare il nuovo sono i fondamentali per gestire una multinazionale. Parola dell'alumnus Lorenzo Delpani, presidente e ceo di Revlon

Della sua nomina a presidente e ceo di Revlon, nel novembre dell'anno scorso, hanno parlato tutti i principali quotidiani degli Stati Uniti. Oggi infatti Lorenzo Delpani, 45 anni, bresciano, una laurea in Bocconi, è uno dei manager più in vista nel panorama delle multinazionali americane, alla guida di un gruppo leader nella cosmetica, con quasi 7mila dipendenti, sedi in 25 paesi, un fatturato aggregato di 1,9 miliardi di dollari e prodotti distribuiti nei mercati di 150 paesi. Dimensioni che potrebbero facilmente spaventare anche professionisti del management ma con le quali Delpani ha acquisito una lunga competenza, essendosi mosso, fin dai primi passi della sua carriera, nell'ambito delle maggiori multinazionali del mondo, da Procter&Gamble a Johnson&Johnson a Reckitt Benckiser.

E pensare che tutto è cominciato da un istituto tecnico di Brescia (l'Abba-Ballini)...

Sì, ma un istituto veramente ottimo. Fin da bambino mi è sempre piaciuto studiare e avevo un'intelligenza piuttosto vivace, così quando è venuto il momento di scegliere l'università mi è venuto naturale puntare alla migliore. Volevo assolutamente ricevere la formazione migliore e confrontarmi con i coetanei più talentuosi.

In che anni ha frequentato l'università? E quale indirizzo scelse?

Sono stato in Bocconi dall'anno 87/88 al 90/91 seguendo l'indirizzo in Amministrazione e controllo. Lo scelsi perché dicevano che era il più impegnativo e perché ero più interessato al business e al commercio che non all'economia. Fortunatamente, come dicevo, i miei precedenti studi di ragioneria mi avevano dato delle ottime basi e riuscii a completare il percorso senza troppe difficoltà.

Che cosa ricorda con più piacere di quegli anni bocconiani?

Ricordo tutto con piacere. Era un periodo molto stimolante, i compagni erano brillanti, c'era una sana competizione. E' stato un periodo molto felice, con pochi stress, poche preoccupazioni, una routine tranquillizzante, circondato da gente simpatica. Tutto molto diverso, insomma, da quello che sarebbe stato in seguito, in particolare dagli ultimi 10 anni...

Dopo la laurea ha subito puntato verso società di largo consumo. É stata una scelta già indirizzata a un percorso professionale che aveva in mente? È ancora vero, secondo lei, che queste aziende sono una scuola eccezionale di management, e in particolare di marketing?

Dopo la laurea sono andato a lavorare in P&G Italia, ma non l'avevo pianificato. Avevo mandato il mio curriculum a molte grandi aziende, fatto molti colloqui e, devo dire, ricevuto diverse offerte di lavoro. Dalla laurea al primo impiego a tempo pieno passarono appena due mesi. Alla fine decisi di andare in P&G, a Roma, anche per una sfida personale, per mettermi alla prova e vedere come me la cavavo a vivere da solo. Quel primo lavoro è stato per me un'esperienza fondamentale, mi ha fatto capire e appassionare davvero al marketing e alla gestione del brand. Ho cambiato solo perché ho ricevuto la classica offerta "che non si poteva rifiutare". Così, nel 1994, ho lasciato l'Italia e da allora sono un emigrato...

Da un anno è Ceo di una multinazionale con sedi e dipendenti in molti paesi diversi. Quali doti, professionali e umane, ritiene indispensabili per gestire una società così complessa e per avere uno sguardo che comprenda realtà così diverse tra loro?

E' una situazione che conosco bene, nella mia vita professionale ho lavorato in cinque multinazionali in 7 paesi diversi. Nella mia esperienza, le doti che mi hanno aiutato di più sono state la capacità di innovare continuamente, di avere un pensiero strategico, di mantenere un impegno costante e di esercitare una sana leadership. Non nascondo che, in aziende come queste, il lavoro diventa presto la priorità. Io ho messo molte energie in quello che ho fatto e sono stato sempre estremamente disponibile agli spostamenti. Questo ha avuto, però, un costo personale significativo per me e per la mia famiglia. Se me lo richiedessero oggi probabilmente non lo rifarei, devo essere sincero. Ho lavorato troppo e non mi sono divertito abbastanza... Per questo direi a un giovane: "Ricordati, bisogna lavorare per avere una vita equilibrata. La felicità sostenibile viene dall'amore, e non dal denaro".

L'elenco degli italiani ai vertici di aziende Usa si allunga ogni giorno di più (da Luca Maestri, cfo Apple, a Guerrino De Luca in Logitech, da Diego Piacentini, numero due di Amazon a Gianfranco Lanci in Lenovo...). Tra l'altro, nel settore cosmetico, lei compone un triumvirato tricolore (insieme a Fabrizio Freda in Estée Lauder e Michele Scannavini in Coty). E' un caso? La coincidenza di una serie di storie di successo personali? Oppure c'è qualcosa nel sistema meritocratico statunitense che attira e favorisce l'affermazione dell'élite dei dirigenti italiani?

Ci sono molti dirigenti italiani di talento, è normale che alcuni di essi diventino Ceo di multinazionali. Gli italiani sono molto innovativi, creativi, si impegnano e hanno molta passione. E questo negli Usa è particolarmente apprezzato.