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Internet e la tirannia del ricordo

IN DELETE, VIKTOR MAYER-SCHöNBERGER DESCRIVE IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA DELLA SOCIETà DIGITALE. UNA SOCIETà IN CUI LE TRACCE DI CIò CHE FACCIAMO NON SVANISCONO MAI

Viktor Mayer-Schönberger
Delete – Il diritto all’oblio nell’era digitale
Egea, 2010, 215 pagg., 19 euro

Nel 2006, Andrew Feldmar, settantenne psicoterapeuta di Vancouver, stava attraversando il confine tra Canada e Stati Uniti per andare a prendere un amico all’aeroporto di Seattle. Alla dogana, l’agente di guardia ha digitato il suo nome su un motore di ricerca scoprendo che cinque anni prima aveva scritto un articolo nel quale accennava all’aver fatto uso di Lsd negli anni Sessanta. Trattenuto per ore, è stato cacciato dagli Usa e gli è stato impedito di rimetterci piede. Un episodio, certamente limite, che è esempio di ciò che può accadere in una società in cui, grazie alle tecnologie digitali, e alla memoria enorme, condivisa, accessibile e poco costosa che ne deriva, l’oblio del passato è bandito. Questa è la nostra società, spiega Viktor Mayer-Schönberger in Delete – Il diritto all’oblio nell’era digitale (Egea, 2010, 215 pagg., 19 euro), una società in cui “dimenticare è diventato l’eccezione e ricordare la norma”.

Per dare dimensione alla vastità della memoria digitale del nostro tempo, basta guardare ai dati conservati negli enormi server dei motori di ricerca. Mayer-Schönberger fa l’esempio del più famoso: “Nel 2007”, scrive, “Google ha ammesso di aver salvato ogni singola ricerca effettuata dai suoi utenti e ogni singolo risultato cliccato”. Conservando e organizzando qualcosa come 30 miliardi di ricerche al mese e abbinando login, cookies e indirizzi IP, “è in grado di collegare le ricerche fatte nel tempo da ogni utente con una precisione impressionante”. Ciò significa che il motore di ricerca “sa tutto ciò che abbiamo cercato e quando lo abbiamo fatto”.
 
Una strabiliante memoria digitale che aumenta di anno in anno con ritmi del 30% (Mayer-Schönberger stima che solo nel 2005 si siano immessi 10 miliardi di gigabyte di nuove informazioni), grazie al continuo abbattimento dei costi della tecnologia di memorizzazione: per fare un esempio, se un megabyte di spazio su un supporto negli anni Cinquanta costava 70 mila dollari, nel 2008 era arrivato a costare un centesimo di cent.
 
Ma quali sono i rischi insiti nel fatto che, grazie all’era digitale, siamo in grado di ricordare migliaia di cose in più rispetto al passato? “La bellezza dell’informazione digitalizzata”, scrive l’autore, “è che per cancellarla basta premere delete. Di primo acchito è così, ma raramente lo è”. Perché lasciamo tracce di noi navigando su internet e condividendo file. E, una volta condivise, si perde il controllo sulle informazioni. È il motivo per cui, dopo aver acquistato un libro su Amazon, quest’ultimo ce ne consiglia altri ai quali potremmo essere interessati. Questo semplicemente incrociando i nostri dati di navigazione con quelli di altri utenti.
 
È dunque un panorama inquietante quello descritto da Mayer-Schönberger in Delete. La nostra vita di web surfer sembra essere continuamente spiata: “La principale azienda americana che fornisce informazioni di marketing”, scrive l’autore, “offre fino a mille data point per ognuno dei 215 milioni di nomi presenti nel suo database”.
 
L’accessibilità, la durevolezza e l’universalità della memoria digitale producono due rischi che Mayer-Schönberger evidenzia oggi: il primo è la perdita di controllo sulle informazioni, aumentando “la disparità di potere tra chi ha poche informazioni e chi ne ha molte”. E tra chi possiede enormi database ci sono, per esempio, i governi. Il secondo rischio riguarda invece il tempo. L’immagine che dà di noi un qualsiasi motore di ricerca è in realtà una fotografia incompleta e atemporale, formata da elementi spesso privi di connessione o addirittura in contraddizione tra loro. Andrew Feldmar è la persona che è oggi, che si è trasformata nel tempo, oppure è solo uno psicoterapeuta che ha ammesso di avere usato Lsd negli anni Sessanta? Quello reperibile in rete è “un passato che non è nostro e neppure di altri, ma che è stato ricostruito con il numero limitato di informazioni registrate dalla memoria digitale. Si tratta di centinaia di scatti della nostra vita messi uno accanto all’altro senza una prospettiva temporale”.
 
Come combattere questi pericoli? Da scartare sono soluzioni come l’astinenza digitale, spiega Mayer-Schönberger, mentre non ancora sufficientemente adeguati sono i meccanismi di tutela della privacy stabiliti dalle legislazioni più recenti. Una possibile soluzione, da integrare ad altri metodi, invece, potrebbe essere quella prospettata nell’ultimo capitolo di Delete: una data di scadenza per le informazioni, che reintroduce così quel concetto di oblio che per millenni ha fatto parte della nostra vita. “L’obiettivo”, scrive Mayer-Schönberger, “è ribaltare la norma: dal conservare le informazioni per sempre, a cancellarle dopo un certo periodo”. Quello che propone, dunque, non è affatto un futuro ‘ignorante’, ma “un futuro che riconosca che gli individui cambiano col passare del tempo, che le idee evolvono e che le opinioni si modificano”.

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di Andrea Celauro

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