La creativita' aumentata
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La creativita' aumentata

LA SFIDA E' FAR COLLABORARE I PHILOSOPHICAL ZOMBIES CON L'UOMO E SUPERARE COSI' I LIMITI DI ENTRAMBI PER DAR VITA A UN NUOVO MARKETING DIGITALE CHE SAPPIA SUPERARE L'OSSESSIONE PER UNA COMUNICAZIONE PERSONALIZZATA E OTTIMIZZATA VIA AI PER RICONNETTERLA CON I VALORI DEL BRAND

di Andreina Mandelli, academic fellow presso il Dipartimento di marketing

La generative AI crea contenuti, idee e artefatti, tra cui musica, arte visiva, software, prodotti, usando Large Language Models, cioè modelli probabilistici che partono dai pattern linguistici appresi dai dati di input sui cui l’ AI è stata formata, che nel caso di GPT-3 arrivano ad utilizzare fino a 175 miliardi di parametri.
Un buon marketing è fatto di insight, strategie, idee e sviluppo di nuove offerte e costruzione di relazioni e processi di mercato, per la creazione di valore per i clienti e l’impresa.
L’AI può creare insights dall’ascolto dei consumatori nei social media o nelle interazioni di customer service e generare idee per nuovi prodotti. Adidas ha utilizzato l'AI generativa per creare un nuovo design di scarpa basato sui feedback dei clienti, dati storici di vendita e sulle tendenze di mercato. l’AI può assistere nel creare modelli 3D dei prodotti, anche ottimizzando l’output finale, valutando i costi, la manufacturability, le preferenze dei consumatori e le opzioni di prezzo possibili.  META Advantage per l’advertising di Facebook e Instagram permette, invece, di creare e ottimizzare le campagne, generando e testando centinaia di versioni di creatività, fino a scegliere quella più performante come conversione, una volta indicati gli obiettivi di campagna.

Per l’automazione del customer service si lavora da tempo attraverso i chatbot ma spesso con una rigidità e una qualità che il New York Times chiama da “spiral of misery”. ChatGPT è sicuramente meno rigida e per questo è stata adottata recentemente da Bank of America e altri istituti finanziari.
Oggi però si levano diverse critiche (tra le altre, quelle di Ogilvy) nei confronti della deriva di un marketing digitale troppo ossessionato dalla comunicazione personalizzata e ottimizzata via AI, a spese di una più autentica connessione tra brand e clienti basata su significati e valori anche collettivi e su una creatività che sappia collegarsi in modo meno meccanico alla personalità e identità del brand. Queste critiche si uniscono a quelle più specifiche relative alla generative AI, che evidenziano criticità importanti in questi sistemi sul piano della non verificabilità delle informazioni, della difficoltà a dare raccomandazioni in contesti complessi, della protezione dei dati personali e del copyright.

Ricordiamo che la creatività, secondo Margaret Boden, deriva da una specie di realtà virtuale nella testa degli umani, fatta di spazi e mappe mentali, “teorie” sul mondo (spesso inconsce) che usiamo per navigare la realtà. Sono alla base della nostra creatività perché le possiamo modificare e reinventare. Coinvolgono tre tipi di pensiero: esplorativo, combinatorio e trasformativo. Da sola la generative AI ha capacità esplorative e combinatorie ottime ma diversi limiti sulla capacità di cambiare autonomamente queste mappe o anche solo di combinarle in un modo su cui non è stata addestrata. In collaborazione con gli umani (e in marketing intendiamo non solo con i marketer ma con tutti i consumatori e gli altri stakeholder) il risultato può superare i limiti di entrambi.
Sulla qualità delle informazioni (senza entrare nel merito del concetto di verità che richiede una discussione ben più ampia e con esiti per alcuni versi incerti) ricordiamo che nella storia della comunicazione e del giornalismo sono stati elaborati metodi efficaci di valutazione della qualità dei processi di gatekeeping professionale (rilevanza per la comunità, controllo delle fonti, etc) che possono essere inclusi nei sistemi di generative AI, anche in collaborazione con umani. Il disastro annunciato dell’esplosione delle fake news e manipolazione informativa nei social media è dovuto all’uomo, cioè allo sviluppo di algoritmi di ottimizzazione dell’attenzione ed engagement a fini pubblicitari e a malpratiche di gruppi organizzati di umani, non alla macchina di per sé.

La capacità di raccomandazioni/decisioni in ambito complesso è affrontata oggi da una sfida tra due visioni diverse su come l’AI dovrebbe lavorare. Da una parte la crescita esponenziale di data crunching (la forza bruta dei dati) che guida l’ apprendimento dei sistemi neurali, per generare risposte di cui ex-post non si conoscono le fonti e le logiche; dall’altra, l’approccio neuro simbolico promosso dall’ ex capo del progetto Watson e oggi seguito da META, dove la ricerca di combinazioni probabilisticamente corrette a partire da data mining e data crunching massivo (da agente invisibile) diventa complementare a metodi più tradizionali, rules-based, con l’input di modelli già disponibili, testati e trasparenti agli utenti nelle loro relazioni causali.

In sintesi la scommessa è che si trovi un modo per fare lavorare insieme quelli che oggi vengono definiti come “philosophical zombies” (repliche dell’intelligenza umana che non dispongono delle capacità più umane di questa intelligenza) e gli umani con tutte le nostre inefficienze ma anche capacità. Come diceva Margaret Boden già nel 1995: la sfida è capire come gli umani possono usare l’AI per aumentare le loro capacità di essere creativi, non per eliminarle.
 

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