L'acqua rischia di diventare un miraggio
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L'acqua rischia di diventare un miraggio

LE PROIEZIONI PER IL FUTURO NON SONO ROSEE RIGUARDO ALLA DURATA E ALL'INTENSITA' DELLA SICCITA', IN PARTICOLARE NELL'AREA DEL MEDITERRANEO. UNA SITUAZIONE CHE IMPATTERA' SEMPRE DI PIU' ANCHE A LIVELLO ECONOMICO E CHE DOVRA' PREVEDERE LA MESSA IN CAMPO ANCHE DI MISURE DI ADATTAMENTO, COME SPIEGA VALENTINA BOSETTI. E LE COLTURE? SAREBBERO PIU' RESILIENTI SE AVESSIMO SPINTO SULLE PRATICHE DI AGRICOLTURA RIGENERATIVA, SPIEGA VITALIANO FIORILLO

Di acqua sotto i ponti non ne passerà più tanta. La siccità del 2022 è stata da record, ma probabilmente la classifica dovrà essere presto aggiornata: un report del Joint Research Center dell’Unione europea di marzo 2023 evidenzia che gran parte del continente continua a essere affetto da anomalie legate all’umidità dei terreni e al livello dei fiumi, con l’impatto della siccità che per quest’anno è già visibile in Francia, Spagna e Italia, dove nel 2022 le piogge sono già crollate del 40% rispetto alle medie decennali. Gli effetti vengono scaricati sull'approvvigionamento dell’acqua, l’agricoltura e la produzione di energia idroelettrica. Il crollo delle precipitazioni ha colpito diverse zone d’Europa nell’ultimo anno, notano gli scienziati del Jrc, e “la situazione attuale potrebbe diventare critica nei prossimi mesi se le anomalie di temperatura e precipitazioni persisteranno nella primavera del 2023”, soprattutto per l’area del Mediterraneo che potrebbe vivere una nuova estate “estrema”.
 
Bosetti: intensità della siccità è destinata ad aumentare
“Le proiezioni del futuro ci mostrano che è destinata ad aumentare la durata e l'intensità delle siccità, sia nell'Europa centrale che in quella del Sud”, spiega Valentina Bosetti, professoressa di Environmental and Climate Change Economics dell’Università Bocconi. Una previsione che si verificherà non solo se le temperature medie aumenteranno di tre-quattro gradi, ma anche se si resta nei limiti degli accordi di Parigi, che prevedono l’impegno dei governi a mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 gradi centigradi in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi. “La zona del Mediterraneo è particolarmente compromessa soprattutto per la siccità: non è solo un problema di precipitazioni, ma anche di evapotraspirazione del suolo”, spiega Bosetti. “Fa molto caldo e i terreni rilasciano più acqua”. Se prevedere le precipitazioni è più difficile per i climatologi, nota la docente, “siamo sicuri che aumenterà la temperatura quindi la componente di evapotraspirazione dei suoli nei prossimi anni ci sarà. Con un chiaro impatto economico: uno studio italiano ha calcolato gli effetti economici indotti dalla siccità nel nostro Paese, stimando una perdita che nel periodo 2001-2016 si attesta tra 0,5 e 1,75 miliardi di euro, con le minori rendite dell’agricoltura che si dipanano su tutta l’economia”.
 
Come adattarsi al cambiamento climatico
Per affrontare l’ascesa della siccità si possono mettere in campo misure di mitigazione e adattamento. “Mitigare vuol dire tagliare le emissioni: lo si fa a beneficio di tutti, ma per avere degli effetti è necessario che lo facciano anche gli altri nel rispetto degli accordi internazionali. Adattarsi, invece, è una scelta del singolo Paese: non importa che lo facciano o meno gli altri, vanno solo programmate una serie di azioni da mettere in campo per adeguarsi alle condizioni climatiche che cambiano”. Le strategie di adattamento possono essere le più varie: “L’Europa”, sottolinea Bosetti, “dà un framework generale, poi ogni Paese deve calare nel proprio contesto le linee guida. Per ridurre l’ondata di calore una grande città può piantare alberi per abbassare la temperatura dell’asfalto o si possono cambiare le modalità di costruzione degli edifici. In agricoltura si può sfruttare la tecnologia per selezionare i semi più resistenti alla siccità o coltivare ciò che può sopravvivere ad assenza prolungata di umidità”.
 
L’Italia a dicembre 2022 ha aggiornato il suo Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, segnalando la possibilità di mettere in atto misure soft, con policy e leggi per modificare gli stili di vita; misure verdi, con azioni per migliorare la resilienza degli ecosistemi; misure infrastrutturali e tecnologiche, per rendere edifici e reti più performanti. “In tanti paesi europei”, dice Bosetti, “il Piano di adattamento non è ancora stato completato, ma bisogna farlo per non peggiorare la situazione: se anche saremo virtuosi, vedremo un profondo cambiamento climatico perché sono gli ultimi decenni di emissioni ad averci esposto a questo pericolo”. Secondo la professoressa, anche Stati come Cina e India hanno intrapreso un cammino che le porterà a tagliare le emissioni per abbassare le temperature: “La Cina e l’India non continueranno a comportarsi così come ora: l'India nel 2070 porterà a 0 le emissioni; la Cina ha fissato il picco tra cinque anni e le porta a zero nel 2060. Non è più vero che loro non fanno niente perché hanno preso un impegno molto chiaro e la Cina ha investito in modo esponenziale nelle rinnovabili, tanto che l’aumento del prezzo del gas, partito prima della guerra in Ucraina, è anche dovuto alle loro nuove strategie energetiche che prevedono meno carbone e più gas proprio per iniziare a ridurre le emissioni”.
 
Fiorillo: agricoltura rigenerativa più resiliente
I primi a risentire dell’impatto di più caldo e meno acqua a disposizione sono gli agricoltori. “Non bisogna pensare che quella del 2022 sia l'estate più calda degli ultimi cento anni, ma che sia stata la più fresca dei prossimi cento. La situazione è veramente drammatica”, sottolinea Vitaliano Fiorillo, direttore dell’Agri Lab di SDA Bocconi. “L'agricoltura sarebbe stata molto più resiliente se già dieci anni fa avessimo iniziato a implementare le pratiche di agricoltura sostenibile e rigenerativa, ma solo ora sta diventando parte della strategia dell’Unione europea”. Attraverso la rotazione delle colture, la riduzione della lavorazione del suolo e la sua copertura continua con i vegetali, le tecniche di agricoltura rigenerativa permettono di aumentare la fertilità dei terreni e limitare il consumo di acqua. “Questo tipo di coltivazione presuppone che il lavoro nei campi non sia contrapposto all'ecosistema ma ne sia parte integrante. L’agricoltura rigenerativa è anche in grado di assorbire Co2 dall'atmosfera, immagazzinarla nel suolo e renderla disponibile per le piante in forma di carbonio”, spiega Fiorillo.
 
Insomma, una rivoluzione vincente messa da parte per un decennio solo per ragioni “culturali” ed è “rimasta confinata all’interno delle università”. Dal secondo dopoguerra, aggiunge, “l’agricoltura è stata improntata su un modello fordista. Abbiamo pensato che la natura non fosse efficiente e abbiamo applicato le logiche del sistema industriale, raccogliendo e seminando secondo le nostre volontà con genetiche più efficienti e meccanizzazione spinta. Un modello sostenuto dagli anni Sessanta dalla politica agricola comunitaria che ha rafforzato quest'idea dell'agricoltura industriale con i prezzi calmierati, togliendo pezzi del know-how degli imprenditori. In Italia, in particolare, sono stati molto bravi a trarre il massimo dalle condizioni di partenza: quindi fin quando le cose sono andate bene c'è tantissimo sfruttamento e nessuna ricerca di nuovi metodi per quando le cose non avrebbero più funzionato”.
 
Una nuova agricoltura o prodotti diversi
Eppure scommettere sulle nuove tecniche di coltivazione dei campi può dare anche risultati “strabilianti” rispetto all’agricoltura tradizionale. “Nell'arco di un periodo tra i 3 e i 10 anni, a seconda del tipo di suolo e di condizioni, l’agricoltura rigenerativa permette di avere rese uguali all'agricoltura convenzionale, se non addirittura superiori, con una riduzione nell’uso dei fertilizzanti di sintesi superiore al 90%”, sottolinea Fiorillo. “Un paper che stiamo per pubblicare con l’Università Cattolica dimostra che l’agricoltura rigenerativa è enormemente più efficiente di quella convenzionale: per grado di utilizzo del campo, efficienza e qualità misurata in base agli obiettivi fissati dall’Unione europea”. Cambiare non è più un'opzione, nota il docente: “L'agricoltura tradizionale non è in alcun modo pronta per assorbire l'impatto del cambiamento climatico e abbiamo già perso troppo tempo. Ora è necessario trovare una nuova strada, come avverrà dipende: chi ha capacità di investimento e lungimiranza si avventurerà nell'agricoltura rigenerativa e chi è messo in ginocchio dalla siccità probabilmente abbandonerà il business. Diverso per chi ha disponibilità economiche ma è già in una condizione irrecuperabile: sono imprenditori che cercheranno di adattarsi nel lungo periodo; non cambieranno il tipo di agricoltura ma il prodotto, smettendo di coltivare gli avocado e puntando sugli arachidi o i datteri”, chiosa Fiorillo.

""l'opinione di Marco Percoco e Maurizio Malpede

di Michele Chicco

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