Chiamatemi bond, green bond
OPINIONI |

Chiamatemi bond, green bond

GLI INVESTITORI SONO SEMPRE PIU' ATTRATTI DA QUESTO TIPO DI OBBLIGAZIONI LA CUI OFFERTA, SEPPUR IN RAPIDO AUMENTO, E' ANCORA BASSA RISPETTO ALLA DOMANDA. UNO STUDIO METTE IN EVIDENZA IL DIFFERENZIALE DI RENDIMENTO TRA GLI STRUMENTI OBBLIGAZIONARI TRADIZIONALI E QUELLI VERDI CONCLUDENDO CHE LA POSSIBILITA' DI RACCOGLIERE RISORSE A SCONTO RENDE UN DUPLICE SERVIZIO ALL'INTERO SISTEMA

di Maurizio Dallocchio ed Emanuele Teti, professore ordinario presso il Dipartimento di finanza e docente di corporate finance alla SDA Bocconi

Il primo green bond fu emesso nel 2007 dalla European Investment Bank e da allora il loro mercato è cresciuto vertiginosamente, ritagliandosi un proprio spazio tra gli strumenti di debito. Basti pensare che la dimensione delle emissioni ha raggiunto i 900 miliardi di dollari nel 2021, mentre nel 2018 il mercato valeva poco più di 300 miliardi. Numerose le ragioni del successo dei green bond. Anzitutto essi testimoniano l’attenzione di una istituzione nei confronti della sostenibilità, dell’ambiente e della qualità della vita delle generazioni future. Di conseguenza, la loro emissione impatta positivamente sulla valutazione del profilo ESG, comprimendo il profilo di rischio dell’istituzione e il suo costo del capitale. Fra l’altro, il loro costo è più contenuto rispetto agli strumenti tradizionali. A sostegno di queste considerazioni, un recente studio della European Central Bank ha mostrato che il costo del capitale delle aziende emittenti green bond è più basso (e il relativo valore d’impresa più alto) dei non emittenti, a parità di condizioni. Anche indicatori di performance complessiva come il ROE o il rapporto fra prezzo e valore contabile del patrimonio netto (P/BV) risultano positivamente impattati. Non si può non prendere atto poi del fatto che gli investitori di tutto il mondo sono attratti dai titoli green e dai loro emittenti, ancora assai limitati rispetto alla domanda potenziale. Con il rischio concreto di incappare in emissioni frutto di “green washing”, ovvero di titoli artatamente indicati come green bond.
Ma esiste una concreta differenza, in termini di rapporto rischio-rendimento, tra green bond e strumenti obbligazionari tradizionali? Due differenze sono evidenti. La prima consiste nel fatto che gli investitori in obbligazioni verdi hanno una sensibilità marcata nei confronti di tematiche legate ad ambiente e sostenibilità, sia per orientamenti specifici della proprietà e del management, sia per le sempre più tangibili richieste in questa direzione da parte dei portatori di interessi nel senso esteso dell’espressione. Ciò comporta che essi non sono unicamente interessati al rendimento in quanto tale, ma alle duplici performance dei titoli che vengono sottoscritti: quella ambientale e quella economica, che potrà anche essere più contenuta di un prodotto tradizionale, per via del risultato offerto sul primo fronte. La seconda differenza è basata sulla teoria dell’asset pricing e collega i possibili minori rendimenti dei green bond ad alcune loro caratteristiche che procrastinano nel tempo l’ottenimento di profitti realmente soddisfacenti in virtù della tipologia di investimenti selezionati. Inoltre, le obbligazioni verdi sono soggette a continuo monitoraggio, sia rispetto agli obiettivi ambientali che si prefiggono di raggiungere, sia nei confronti della reale destinazione dei proventi finanziari dopo l’emissione, elementi che potrebbero ulteriormente contenerne la probabilità di default.
Concretamente, esiste dunque un differenziale di rendimento tra gli strumenti obbligazionari tradizionali e quelli verdi? Una nostra ricerca ha messo in evidenza le differenze, a seconda del mercato considerato. Nel mercato primario è dimostrato che l’emissione di green bond comporta, a parità di condizioni, un rendimento di 35-40 punti base inferiore, rispetto ai titoli standard. Inoltre, sebbene lo spread all’emissione sia confermato per ogni tipologia di green bond, lo sconto è più robusto per gli emittenti corporate, con una media di -40 punti base rispetto agli emittenti finanziari, per i quali si è arrivati a stimare uno sconto più contenuto e pari a 22 punti base.
Sul mercato secondario abbiamo invece riscontrato che al termine del 2020 il rendimento dei green bond si aggirava intorno a 12 punti base al di sotto dei corrispettivi titoli tradizionali. Il “premio” a favore dei green bond (denominato Green bond premium o “Greenium”) si è ampliato all’inizio del 2021 e al termine della prima metà dello stesso anno è giunto a -28 punti base e a - 35 punti base rispettivamente.
I nostri risultati sembrerebbero dimostrare che lo sconto sui tassi di rendimento tra le due tipologie di obbligazioni sia in crescita. Ciò potrebbe essere spiegato da un crescente sbilanciamento della domanda/offerta che comporta una maggiore apprezzamento dei green bond rispetto ai titoli obbligazionari tradizionali.
In definitiva, la possibilità di raccogliere risorse a sconto rende un duplice servizio al Sistema: da un lato agevola gli emittenti che possono contare su un più basso costo del debito per il finanziamento di progetti verdi; dall’altro attrae l’attenzione degli investitori che possono attivamente sostenere la transizione verso un’economia più sostenibile.



Valeria Sandei, AD di Almawave
Quale impatto e quale futuro possono avere per le aziende forme di finanziamento come i green bond?
Nonostante abbiano una storia relativamente recente, i Green Bond sono divenuti in poco tempo uno strumento di finanza scelto da molte aziende e istituzioni. E se pensiamo agli obiettivi individuati per il 2030 su clima ed energia, è plausibile, se non certo, che il loro utilizzo possa aumentare esponenzialmente nel prossimo futuro.
D’altra parte, l’attenzione per la sostenibilità non è più considerata come una moda passeggera piuttosto come una precondizione nel fare impresa, inventare nuovi prodotti e programmare investimenti.
Anche nella mia azienda, Almawave, abbiamo sviluppato da tempo una forte sensibilità sul tema e questo lo si può vedere dall’impegno messo in campo dalle nostre persone ogni giorno e dai risultati concreti conseguiti e raccolti nel nostro report annuale di sostenibilità. Il nostro impatto non ha infatti soltanto una rilevanza interna nell’operatività aziendale ma anche sull’ecosistema poiché le nuove tecnologie e la digitalizzazione rivestono un impatto decisivo nel percorso verso gli obiettivi Agenda 2030.
E da quando ci siamo quotati nel 2021 in ogni incontro con la comunità finanziaria si è parlato di sostenibilità. Da questo punto di vista va sottolineato come la finanza svolga un ruolo di forte stimolo e operi da acceleratore verso una maggiore implementazione delle tematiche ESG nelle imprese.
Come specialisti di intelligenza artificiale, in particolare nella comprensione del linguaggio umano scritto e parlato, abbiamo il privilegio di lavorare sia con il pubblico che con il privato e, al di là dei green bond, è ormai evidente come la gestione finanziaria di una società o ente non possa più prescindere dall’affrontare anche l’impatto del proprio operato in termini di sostenibilità. Non solo, ma il rating ESG influisce ormai concretamente nell’accesso al credito, nei rapporti con gli stakeholder e nella capacità di attrarre i migliori talenti. L’intelligenza artificiale diventa dunque una leva essenziale per interpretare gli “alternative data” e costruire nuovi modelli per la valutazione del merito creditizio che considerino anche le tematiche ESG.


Carlotta de Franceschi (Managing Director HPS Investment Partners, alumna Clea
-Bocconi)

 
I green bond diventano uno strumento finanziario sempre più diffuso. A che punto siamo di questa loro crescita?
R. Posto che le opinioni che esprimo sono le mie e non rappresentano le views di HPS Investment Partners, io credo che ci sia un esercizio congiunto delle diverse istituzioni Ue per facilitare il reperimento di finanza privata da parte di attività economiche sostenibili tramite green bond. Il punto di partenza è, come ha detto Mario Draghi in occasione dell’incontro alle Nazioni Unite in vista di COP26, che le risorse pubbliche non bastano a supportare la transizione energetica. Quindi, le autorità pubbliche sono impegnate ad agevolare gli investimenti privati. La Commissione Europea, per esempio, ha creato una solida architettura che definisce la tassonomia delle attività da considerarsi green, in base a sei obiettivi (di cui due già dettagliati in materia di clima, con tanto di elenco delle attività ricomprese). E’ stata anche emanata una direttiva che impone ai fondi la disclosure sulle attività green, non green e light green detenute in portafoglio. Sempre la Commissione Ue ha proposto di modificare il testo della direttiva Solvency II per facilitare gli investimenti delle assicurazioni in progetti sostenibili. Infine, la Bce ha avviato lo scorso ottobre un programma di acquisti, con un haircut più favorevole, per i green bond posseduti dalle banche.
 
Tra turbolenze geopolitiche e inflazione al rialzo, che futuro prevede per i green bond?
Il policy making europeo punta a facilitare gli investimenti in green bond sia rafforzandone la standardizzazione (includendo una definizione comune di “attività green” e prevedendo l’audit esterno delle attività per esempio) sia aumentandone la trasparenza con la discloure. L’attenzione globale sull’ambiente, che l’Europa con il Green Deal ha messo al centro dell’agenda politica, non è un fenomeno nuovo ma il conflitto in Ucraina ha reso pressante il dibattito a livello comunitario sulla diversificazione delle fonti e la transizione energetica. A questo proposito, non mancano possibilità di ulteriore sviluppo delle politiche Ue sui green bond, pensando alla proposta di modifica di Solvency II da parte della Commissione, ora allo studio del Parlamento europeo, e anche al possibile ampliamento del programma di acquisti della Bce a covered green bond e cartolarizzazioni green. Il vero “elefante nella stanza” è il greenwashing, su cui l’attenzione dei regolatori a livello globale resta massima.

 

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