Pochi passi avanti sul clima alla COP 27
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Pochi passi avanti sul clima alla COP 27

TANTI I TEMI DISCUSSI, POCHI I RISULTATI RAGGIUNTI

di Edoardo Croci, direttore Sur Lab

La COP 27 di Sharm El Sheik si chiude senza grandi passi in avanti nell'impegno globale di contrasto al cambiamento climatico. Diverse ragioni hanno contribuito al modesto esito del summit. Innanzitutto, l'aumento dei prezzi dell'energia a seguito della guerra in Ucraina ha allentato gli sforzi di molti Paesi verso la transizione energetica, che a sua volta richiederebbe un progressivo incremento del costo delle fonti fossili, oggi difficilmente sostenibile. A ciò si somma l'ondata inflattiva connessa alla crescita del debito pubblico che quasi tutte le economie del pianeta hanno alimentato per uscire dalla crisi del Covid 19.
Il sovrapporsi del G20 di Bali con la COP 27 ha ridotto la pressione sui leader dei governi delle principali economie, che non erano presenti a Sharm negli ultimi giorni in cui solitamente si chiudono le negoziazioni con compromessi politici,
Cosi il protagonista mediatico dell'ultima settimana (tranne gli ultimi giorni in cui è stato messo fuori gioco dal Covid) è stato il capo della delegazione statunitense John Kerry, a cui solo il Presidente brasiliano Lula ha rubato la scena quando nel suo intervento in sessione plenaria ha garantito l'arresto della deforestazione in Amazzonia, anche se l'impegno più concreto l'ha portato il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans con l’aumento dal 55% al 57% delle riduzioni delle emissioni dell'UE al 2030.

La presidenza egiziana della COP non è stata in grado di definire un'agenda ben strutturata e finalizzata: molti temi sono stati discussi senza arrivare ad un risultato. Questo si riflette anche nella poco incisiva risoluzione conclusiva, il Piano di implementazione di Sharm el-Sheikh, adottata ai tempi supplementari.
Vediamo analiticamente i progressi, o meglio i mancati progressi, sulle tematiche su cui ci si attendevano sviluppi.
La recente pubblicazione del sesto rapporto di valutazione dell'IPCC sul cambiamento climatico ha messo in evidenza la necessità di rafforzare le politiche e le misure di decarbonizzazione per perseguire l'obiettivo maggiormente ambizioso dell’Accordo di Parigi di contenere l'aumento della temperatura del pianeta a 1,5 gradi a fine secolo. In realtà la risoluzione finale della COP 27 si limita a dichiarare genericamente che l’obiettivo di 1,5 gradi richiede un rapido processo di riduzione delle emissioni del 43% al 2030 rispetto ai livelli del 2019, senza indicare come ottenerlo. Considerando che la temperatura media del pianeta è già aumentata di 1,2 gradi e il picco delle emissioni non è ancora arrivato, nonostante il loro crollo nel 2020 a causa del Covid, questo obiettivo diventa sempre più irrealistico.
Del resto l'emission gap report di UN Environment, dal titolo poco rassicurante “La finestra che si chiude”, mostra chiaramente che gli impegni attuali non sono neppure in linea con l’obiettivo dei 2 gradi.
La COP 26 di Glasgow si era chiusa lo scorso anno con l'impegno a rafforzare nel 2022 gli NDC, i gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni, proprio perché ritenuti insufficienti. In realtà solo pochi Paesi hanno comunicato impegni rafforzati. Le stime più recenti indicano tra 2,4 e 2,6 gradi l’aumento delle temperature a fine secolo. Bisogna comunque considerare che nella maggior parte dei casi gli impegni dei Paesi in via di sviluppo sono condizionati al supporto finanziario dei Paesi sviluppati e quindi presentano un margine di incertezza.

Proprio il tema del supporto finanziario e risultato tra i più dibattuti e controversi in questa COP. La risoluzione finale stima i flussi finanziari annuali destinati ai Paesi in via di sviluppo in circa 800 milioni di dollari, che corrisponde a un terzo di quanto richiesto per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Solo all’ultimo momento si è trovato l’accordo sull’istituzione di un nuovo fondo, nell’ambito del cosiddetto meccanismo del loss and damage, che prevede di indennizzare i Paesi che soffrono maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici, che sono appunto i Paesi in via di sviluppo. Per rendere operativo questo nuovo fondo e per sistematizzare l’uso delle risorse già previste a questo fine, è stato istituito un apposito Comitato di Transizione, che dovrà sottoporre le sue proposte alla prossima COP.
In relazione alla finanza per il clima si registrano pochi avanzamenti anche sull'articolo 6 dell’Accordo di Parigi, quello che prevede l'avvio di due nuovi strumenti di mercato, ITMO (International transferable mitigation outcome) e SDM (Sustainable development mechanism), le cui regole erano state definite lo scorso anno a Glasgow. Sui primi, diritti di emissione negoziabili, manca la decisione su alcuni aspetti procedurali che ne autorizzano la trasferibilità. Sui secondi, che consentono di attribuire crediti a chi realizza progetti di mitigazione, non è stato istituito l'organo delle Nazioni Unite che dovrebbe rilasciarli.
Mentre la risoluzione finale si limita a ribadire la necessità di ridurre progressivamente l’uso del carbone (senza far riferimento a petrolio e gas) ed eliminare i sussidi inefficienti alle fonti fossili, non si registrano progressi significativi neppure sugli accordi volontari, complementari all'Accordo di Parigi, che avevano caratterizzato la COP 26 in relazione a diversi settori, tra cui il BOGA - Beyond oil and gas alliance, a causa delle tensioni sui prezzi dei mercati energetici che hanno disincentivato ulteriori impegni sull'eliminazione delle fonti fossili e del peso degli interessi dei Paesi estrattori in questa COP africana.
Parallelamente alle negoziazioni un nutrito calendario di side event, ufficiali (cioè approvati dalle Nazioni Unite e svolti negli spazi da loro messi a disposizione) e non ufficiali (cioè svolti nei diversi padiglioni e stand di organizzazioni governative e non che partecipano alla COP) ha animato l’occasione, toccando una varietà di temi, tra cui la tutela della biodiversità, gli oceani, la giustizia sociale, la dimensione urbana. Su quest'ultimo tema ha organizzato un side event ufficiale l'università Bocconi, attraverso il SUR Lab, recentemente istituito grazie alla collaborazione di Hines, Banca Intesa, Prelios e Milano Sesto. L'evento, organizzato insieme alla NGO Cambiamo e all'agenzia UN Habitat, ha evidenziato il contributo della rigenerazione urbana sostenibile alla riduzione delle emissioni e all'aumento della resilienza, anche attraverso l'esperienza di una serie di casi internazionali.

La prossima COP si svolgerà l'anno prossimo a Dubai. Intanto il carbon budget, cioè la quantità di emissioni che il pianeta può ancora sopportare, si assottiglia e si esaurirà ormai in circa un decennio all'attuale ritmo per restare in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi. Per evitare le conseguenti devastanti sulla natura, la salute, la disponibilità di cibo e l'economia è necessario invertire subito la rotta e raggiungere il picco delle emissioni prima del 2025, altrimenti si dovrebbe fare affidamento sempre di più su tecnologie di cattura e sequestro del carbonio, comprese quelle di cattura diretta dall'atmosfera, oggi ancora non disponibili a scala e costi ragionevoli e sui cui sviluppi futuri non vi è certezza.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia gli investimenti globali necessari per una trasformazione low carbon delle economie richiedono investimenti dell’ordine di 4/6 trilioni di dollari all’anno: un traguardo difficile in assenza di un quadro internazionale di riferimento che elimini ambiguità, renda attivi tutti gli strumenti previsti e coordini gli sforzi di tutti gli attori in gioco.
 

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