La geometria della sovranita' digitale
OPINIONI |

La geometria della sovranita' digitale

IL POTERE DETENUTO DAI SOGGETTI PRIVATI PROPRIETARI DELLE PIATTAFORME E' DI FATTO PARACOSTITUZIONALE TANTO DA ESSERE PASSATI DAL CLASSICO RAPPORTO VERTICALE AUTORITA' VERSUS LIBERTA' A UNA DIMENSIONE ORIZZONTALE IN CUI L'OBIETTIVO E' TROVARE LE LEVE E GLI STRUMENTI PIU' ADEGUATI PER LIMITARNE I POTERI

di Oreste Pollicino, ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici

Quali sono le nuove sfide del costituzionalismo moderno rispetto all’emersione e al consolidamento delle grandi piattaforme digitali?
Per capirlo bisogna partire dall’analisi del processo di “trasfigurazione” che ha caratterizzato tali soggetti da attori economici a poteri in senso stretto e alla reazione che questa trasfigurazione impone al costituzionalismo moderno che, per mantenere fede alla sua missione originaria di limitazione del potere, deve trovare nuove geometrie di azione. Nello specifico, ci si muove da una geometria verticale del classico rapporto autorità versus libertà a una dimensione orizzontale, in cui obiettivo è trovare gli strumenti più adeguati per limitare e contenere, facendo leva anche sul concetto di sovranità digitale, il potere privato detenuto dalle grandi piattaforme informatiche.
Attenzione: non è la prima volta che si pone il problema del rapporto tra diritto pubblico e poteri privati, né che soggetti privati, di fatto, regolino determinati mercati con una tale influenza su un particolare settore economico da detenere, de facto, un potere sostanzialmente latu senso politico (si pensi alle federazioni sportive).
 
La discontinuità e quindi la rilevanza del potere privato nel nuovo contesto digitale sono però date da due ragioni. La prima è di ordine quantitativo: la pervasività del processo di digitalizzazione, i meccanismi di automazione algoritmica e l’enorme quantità di dati a disposizione per definire processi di profilazione degli utenti hanno portato le grandi multinazionali del settore digitale a una capacità di influenza di natura globale che non ha precedenti. La seconda novità è di ordine, diciamo, qualitativo, e incide sull’ampiezza, il pluralismo e la libertà del dibattito pubblico. Non si è infatti mai assistito in passato a ciò che sta avvenendo nel contesto digitale. Vale a dire che soggetti privati con una dominanza così significativa su un mercato assai particolare, come quello delle idee - per parafrasare la leggendaria metafora del free marketplace of ideas di Holmes - siano in grado di condizionare in modo così efficace il dibattito pubblico. Di fatto, per le grandi piattaforme, come è stato recentemente sostenuto da Miguel Maduro, « fostering a large community – similar to a public sphere – is key to the business model ».
 
La questione della riproposizione delle condizioni e dei presupposti di una sfera pubblica funzionante, nell’accezione che ne dà Habermas, nel contesto dell’ecosistema digitale, merita un riferimento, perché si intreccia con la questione relativa alla concentrazione di potere detenuto da soggetti privati (che spesso però esercitano de facto, come si diceva, funzioni di natura para-costituzionale).
 
Sembra alquanto ottimistico, quasi ai limiti dell’irrealistico, l’auspicio di Balkin, uno dei massimi studiosi di questo tema, che suggerisce un modello ideale (melius: idealistico) di sfera pubblica digitale secondo il quale i social media, soggetti privati che si muovono principalmente secondo logiche di mercato, dovrebbero, su base però volontaria, almeno per quanto riguarda il versante statunitense, muoversi su tre fronti. Innanzitutto, facilitare la partecipazione pubblica nella politica, nella cultura e nell’arte; in secondo luogo, organizzare un public forum sul web che favorisca lo scambio di idee; in terzo luogo, prendersi cura delle modalità di funzionamento e di moderazione della conversazione pubblica.
 
Assai difficile immaginare che lo scenario descritto possa essere effettivamente realizzabile, anche perché si sta assistendo ad un fenomeno per molti versi opposto, vale a dire lo sgretolarsi, nel cyberspazio, delle formazioni sociali, almeno quelle tradizionali, con tutte le conseguenze negative che l’assenza di intermediazione da parte delle comunità intermedie può avere sulle modalità di esercizio del potere (e del suo abuso) e sull’indebolimento della posizione del singolo sempre  più immerso, in Internet, in una cornice di individualismo, ma anche di solitudine, e in fine dei conti di ulteriore debolezza rispetto al potere, pubblico o privato che sia.
 
Ciò che è davvero importante sottolineare è che gli strumenti e le categorie del diritto costituzionale non vanno né stravolte né tanto meno messe da canto. Si tratta di trovare invece la formula più equilibrata per una loro rimodulazione all’ecosistema digitale, alla ricerca del loro spirito più autentico ed originario, vale a dire la limitazione del potere, indipendentemente da quale sia la sua geometria.
 

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