Quella grande rete che spinge la Bocconi oltre i propri confini
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Quella grande rete che spinge la Bocconi oltre i propri confini

STEFANO CASELLI, PRORETTORE PER GLI AFFARI INTERNAZIONALI DELLA BOCCONI, RACCONTA IL LAVORO DI CREAZIONE E MANUTENZIONE DELLE PARTNERSHIP TRA UNIVERSITA' CHE, OGNI ANNO, SI TRAMUTA IN NUOVE OPPORTUNITA' DI SCAMBI ALL'ESTERO PER GLI STUDENTI DELL'UNIVERSITA' E DI INGRESSO DI STUDENTI PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO

Tra due anni sarà mezzo secolo che gli studenti Bocconi si scambiano di banco con i colleghi di altre università del mondo. Da quel 1974 la possibilità di trascorrere un periodo di studio oltreconfine ha coinvolto un numero sempre maggiore di ragazzi crescendo parallelamente all’allargamento del network di relazioni strette dall’ateneo e, più in generale, con l’affermazione della sua dimensione internazionale. Da un decennio a presiedere questa attività strategica per la crescita dell’università ma soprattutto per la formazione degli studenti c’è Stefano Caselli, professore di finanza e, appunto, Dean per gli Affari internazionali dal 2012.

Quali sono gli obiettivi da raggiungere quando si lavora all’internazionalizzazione di un ateneo?
Gli affari internazionali sono un tavolo che si regge su più gambe. La più grande e solida è costituita dalle alleanze con gli altri atenei che, nel nostro caso, permettono alla Bocconi di essere visibile, ai nostri studenti di trascorrere periodi di studio all’estero e, aspetto non secondario, di avere qui tra noi ragazzi che vengono da tutto il mondo, da Princeton, dalla Stern di New York, da Singapore… Dieci anni fa il numero di questi accordi non arrivava a 200, oggi sono 283 e coprono di fatto quasi tutte le migliori università al mondo. Un risultato raggiunto anche grazie alla scelta di essere presenti, spesso come membri fondatori, nei principali network internazionali, penso al CEMS, che ha più di 30 anni di storia o, più recente, a CIVICA, che fa parte del progetto European Universities voluto dalla Commissione Europea. Con queste premesse non sarebbe difficile ampliare ancora il numero di accordi perché ogni giorno riceviamo nuove richieste, ma quello che cerchiamo di fare qui in Bocconi è trovare sempre partner di livello pari o superiore e, come detto, questi li abbiamo tutti. Le sfide dei prossimi anni, piuttosto, saranno quelle di sviluppare accordi per dare un’esposizione internazionale ai nuovi programmi Bocconi che sono stati lanciati, da Computer Science ad Artificial Intelligence, e di ripensare sempre il concetto di dimensione internazionale in un mondo ben più complesso.

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Per chi frequenta la Bocconi la dimensione internazionale è qualcosa di scontato. Questo facilita il suo compito o alza l’asticella delle attese da soddisfare?

Se questo aspetto è dato per scontato dagli studenti di oggi significa che abbiamo fatto un ottimo lavoro con gli studenti di ieri. In questo ambito però non ci si può mai rilassare perché, per esempio in uno scambio, tutto deve funzionare alla perfezione ed è un lavoro che richiede manutenzione quotidiana e una macchina organizzativa impeccabile. È vero che i ragazzi che si iscrivono qui spesso hanno già esperienze internazionali, ma a prescindere da questo oggi più che mai sono consapevoli che poter inserire nel curriculum un semestre presso un ateneo di prestigio o addirittura un double degree, e ne abbiamo 36 ora, è un game changer formidabile per migliorare le possibilità di placement.

La pandemia per un periodo ha messo un freno a tutto questo…
In realtà, nel momento più duro, quello del lockdown, abbiamo reagito in tempo reale stringendo ancora di più i rapporti con gli atenei europei. C’è stata una risposta di network nel senso più bello del termine: tutti hanno spalancato le proprie porte, il numero di scambi è persino aumentato, e nello stesso tempo abbiamo dato il via libera a esperienze online che certo sono meno attraenti rispetto alla forma tradizionale, ma che hanno consentito a tanti studenti di frequentare un ambiente diverso e di poterlo scrivere nel proprio curriculum. È stato più faticoso per tutti, soprattutto per i ragazzi, ma abbiamo superato il momento e oggi siamo tornati a un numero di scambi fisici quasi pari a quello pre-pandemia.

Ora, però, si sono dovuti interrompere i rapporti con la Russia
Come tutte le università in Europa, anche noi abbiamo dovuto sospendere, con grande dispiacere, gli scambi con partner storici come San Pietroburgo. Non avevamo invece accordi in essere con università in Ucraina ma stiamo riflettendo se aprirne ora per consentire ai loro studenti di passare un periodo qui da noi.

Chi compone i ranking degli atenei guarda molto all’internazionalizzazione come parametro di valutazione. Come vive il confronto con questo giudizio?
Da studioso di finanza posso dire che i ranking sono come i prezzi dei titoli in borsa: possiamo discutere all’infinito se sono fair o meno. I ranking non sono la verità, questo è certo, ma sono un indicatore importante con cui confrontarsi e con il quale viene misurato lo sforzo collettivo di tutte le componenti di un’università, dall’attività di ricerca, ai programmi, al placement. Chi è Dean degli affari internazionali deve lavorare di fatto come un “investor relator” e interagire con chi realizza queste classifiche per spiegare esattamente che cosa si fa e come, valorizzando l’impegno di tutti. È un aspetto del mio ruolo che impegna molto tempo e sforzo, ma devo dire che su ranking come Financial Times e QS ha dato ottimi risultati.

Uno studente all’estero è già un possibile “cervello in fuga”?
Credo sia riduttivo vederla così. Il mercato dell’alta formazione è globale ed è fisiologico che, se vogliamo avere ottimi studenti che poi siano ottimi professionisti e, direi, ottimi cittadini, dobbiamo spingerli verso un’esperienza all’estero. Solo attraverso questo passaggio possono poi tornare indietro arricchiti e contribuire a rendere l’Italia più attrattiva. Quello che diventa pericoloso è se noi esportiamo solamente e non importiamo altrettanto. Un ateneo e un paese funzionano bene quando il saldo dare-avere si bilancia, ed è quello che vediamo in Bocconi.

Che cosa resta dell’identità Bocconi come valore da esportare in tutte queste relazioni?
In questi dieci anni ho verificato che ci sono alcuni aspetti ricorrenti che vengono percepiti all’estero e il primo riguarda la qualità dei nostri studenti e delle nostre studentesse, che registrano sempre performance tra le migliori. Anche questo è in qualche modo un carattere identitario e che dobbiamo preservare continuando ad applicare una rigorosa selezione all’ingresso, basata unicamente su un criterio di merito. Come ricordo spesso, inoltre, la Bocconi è stata fondata da un imprenditore, che ha voluto compiere un gesto di give-back alla propria comunità, e questo DNA ci contraddistingue nel panorama internazionale dando al nostro approccio, e dunque anche a quello dei nostri allievi, l’impronta dell’imprenditorialità responsabile. Una forte creatività, il saper trovare sempre una soluzione, l’attaccamento all’idea di indipendenza, il senso di responsabilità e del dovere sono caratteristiche che ritornano. Aggiungerei, infine, il forte connubio con Milano. Come tutti i grandi atenei, anche la Bocconi ha caratteristiche che prescindono dal posto in cui si trova, però la sua crescita negli ultimi anni è indubbiamente legata a doppio filo con la dimensione internazionale raggiunta dalla città. Rispetto anche solo a dieci anni fa, Milano è molto più visibile, gioca da protagonista su molti fronti, è un traino per tutto il suo tessuto sociale e con il nostro ateneo si è creato davvero un rapporto win-win.
 
Biografia
Laureato in Economia all'Università degli Studi di Genova e Dottore di Ricerca in Mercati e Intermediari Finanziari a Siena, Stefano Caselli ha iniziato la sua carriera di ricercatore in Bocconi nel 2000, per diventare professore associato nel 2002. Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari dal 2007 ed Algebris Chair dal 2019, ha sempre affiancato alla docenza e alla ricerca l’impegno in ruoli istituzionali e in particolare come Pro Rettore agli Affari Internazionali, ruolo che ricopre dal 2012. “Da studente non ebbi la possibilità di fare uno scambio internazionale”, ricorda il docente, “ma ho recuperato negli anni successivi, lavorando, viaggiando e maturando uno spirito da cittadino del mondo. L’attività internazionale mi appassiona perché è sempre sorprendente, permette di innovare senza sosta, di affrontare nuove sfide e di guardare oltre. E credo sia quanto mai strategica per un ateneo, ma anche per un paese come il nostro”.

di Emanuele Elli

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