La scuola che proietta nel futuro
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La scuola che proietta nel futuro

A META' TRA COMPLETAMENTO DELLA FORMAZIONE E INDIRIZZO NEL MONDO DEL LAVORO, LA GRADUATE SCHOOL HA UNA DOPPIA ANIMA RACCONTATA DALLA DEAN ANTONELLA CARU'. IL CONSIGLIO PER GLI STUDENTI? MANTENERE LA MENTE APERTA, METTERSI IN DISCUSSIONE, RENDERE SOLIDE LE PROPRIE COMPETENZE, MA ANCHE, BENCHE' SI TRATTI DI UN BIENNIO DI SPECIALIZZAZIONE, LASCIARE UNO SPIRAGLIO ALL'INASPETTATO

Un piede ancora nelle aule e l’altro già nel mondo del lavoro. La Graduate School vive in equilibrio a metà del guado, assolvendo contemporaneamente al compito di completare la formazione di base degli studenti e insieme indirizzandoli nelle prime esperienze professionali. Da otto anni a dirigere il team che accompagna i ragazzi nella loro stagione formativa più appassionante c’è Antonella Carù, che in Bocconi è stata studentessa e ricercatrice, esperta di marketing e management. Visiting professor in diversi atenei nel mondo, oggi affianca alla docenza in ateneo e alla SDA Bocconi il ruolo di Dean, appunto, della Scuola Superiore Universitaria.

Teoria e pratica, formazione e professionalizzazione, bisogno di studiare e desiderio di mettersi alla prova nel lavoro, come si tiene insieme tutto?
Il nostro Master of Science offre un primo anno molto strutturato, comune per la maggior parte degli indirizzi e durante il quale gli studenti consolidano le conoscenze. A questo segue un secondo anno che ciascuno deve costruire da sé scegliendo tra le esperienze e le competenze che vuole approfondire. Alcuni nostri competitor offrono corsi più compressi in termini di tempo, è vero, ma io credo che i due anni siano un valore da difendere perché sono la garanzia per poter comporre un programma davvero ricco e stimolante. Non significa che i ragazzi arrivano più tardi nel mondo del lavoro; fanno tutti uno stage obbligatorio di almeno tre mesi, ci sono opportunità di interazioni continue con le aziende. E infatti gli straordinari risultati di placement confermano la validità di questo modello.

I ragazzi, però, hanno una fretta naturale di passare dai banchi alle scrivanie…
È vero. Per questo cerchiamo di spiegare loro che, con un mondo in continuo cambiamento, occorre essere solidi nelle competenze, ma soprattutto nell’apertura mentale, nella capacità di continuare ad apprendere, di mettersi in discussione. In questo gli anni dell’università sono fondamentali perché consentono di rischiare, di sperimentare, pur rimanendo in un ambiente relativamente protetto, e di sviluppare relazioni tra di loro, tema fondamentale per il futuro.   



Secondo lei qual è il momento ideale per inserire nel curriculum uno stage o un’esperienza di studio all’estero?
Non abbiamo volutamente costruito una sequenza predeterminata di esperienze da fare proprio perché il secondo anno deve essere costruito dai ragazzi liberamente. È importante, però, che comincino a pensarci da subito, già nel primo semestre del primo anno, iniziando a vagliare le università straniere dove andare o le aziende su cui puntare per lo stage. Come si compone questo curriculum è già una prima sfida su come costruire una carriera. Ci sono dei pilastri inamovibili, lo scambio, lo stage obbligatorio, i corsi opzionali e la tesi, ma il mosaico che esce dal loro incastro è sempre molto personale e riflette le responsabilità che lo studente si assume.

Quale, tra le proposte della scuola universitaria, le sarebbe piaciuto che ci fosse anche nei suoi anni da studentessa?
Il programma Ceo Connect che abbiamo varato a ottobre è qualcosa che mi sarebbe realmente interessato. Già allora mi chiedevo come sarebbe stata una giornata di fianco all’amministratore delegato di una grande azienda e quando l’a.d. di Facebook, Luca Colombo, ha avuto l’idea di coinvolgere un gruppo di Ceo per fare da mentor ad alcuni studenti, mi è sembrata un’ottima iniziativa. I ragazzi possono affiancarli e dialogare con loro non solo rispetto alle scelte formative ma sulle prospettive dei rispettivi settori, un’opportunità non da poco. Anche i Ceo sono contenti dell’esperienza perché il contatto con questa generazione Z, che è sottoposta a grandi stimoli ma è anche capace e rapida nel coglierli, arricchisce anche loro.



A proposito di generazione Z, con quali attese si presentano questi ragazzi ai momenti di orientamento?
La maggior parte ha già un’idea sul percorso da affrontare. Sulle loro aspettative influiscono molto le opportunità offerte dal mondo del lavoro, ma anche interessi e passioni, spesso maturati durante il triennio. Una cosa che apprezzano sempre è la testimonianza di nostri giovani laureati, non troppo lontani dai tempi dell’Università, ma già inseriti nel mondo del lavoro. La mia raccomandazione è che, mentre tengono un occhio al mondo del lavoro, con l’altro non perdano di vista le proprie attitudini.

Quanto spazio c’è per assecondare le proprie inclinazioni personali nel percorso di studi?
In un percorso di studi ci sono corsi entusiasmanti e altri magari meno, ma è l’insieme che dà rotondità alla preparazione. Non si può procedere per esclusione, facendo solo ciò che interessa: la capacità di scegliere si basa sulla conoscenza delle alternative. Inoltre, è vero che al biennio siamo già in un contesto di specializzazione, ma agli studenti dico che è meglio non chiudere troppo la prospettiva e lasciarsi aperti spiragli anche per farsi sorprendere e portare dove non si pensava. L’obiettivo più importante è individuare un percorso formativo ricco che aiuti a orientarsi verso un lavoro che faccia stare bene non solo professionalmente ma anche a livello personale: questo non avviene né mantenendo troppa rigidità né con troppa accondiscendenza verso le proprie attitudini.



La scelta di dare vita a un nuovo corso di studi matura più guardando alle richieste degli studenti o a quelle del mondo del lavoro?
Ad entrambe. Il mondo del lavoro dà dei segnali chiari, i ragazzi li colgono rapidamente. Noi dobbiamo interpretare questi segnali e avere uno sguardo di lungo periodo. La scuola graduate ha recepito in questi anni la scelta lungimirante dell’ateneo di allargare la propria presenza dagli studi tradizionali a due nuove aree di grande interesse per il futuro, computer science e political sciences, attivando due nuovi programmi (DSBA e PPA) e ibridando con questi temi gli altri corsi di laurea magistrale. Abbiamo anche lanciato due joint degree con il Politecnico di Milano a conferma dell’importanza dell’apertura alla interdisciplinarità per affrontare tematiche complesse: un Msc in cyber risk, management and governance, una competenza specifica ma molto richiesta, osservando il mercato e i bisogni delle aziende, e il nuovo Msc Transformative Sustainability che unisce la formazione in management e governance con verticali di tecnologia su ambiente, materiali, energia.

Lei è direttore delle scuole (prima Undergraduate e ora Graduate) dal 2012. Come ha visto cambiare gli studenti in questo decennio?
Oggi li trovo più aperti, rapidi, molto disinvolti nell’uso delle tecnologie, a volte spaventati dall’incertezza – e gli anni che stiamo vivendo certamente contribuiscono a spiegarlo – e dalle difficoltà, come se fossero qualcosa di inaspettato. Gli anni dell’università devono servire a misurarsi anche con qualche fallimento o delusione, fosse anche solo un esame che non è andato come doveva. Dico sempre ai ragazzi di preferire l’arricchimento di esperienze alla media dei voti, ma su questa linea non è cambiato molto negli anni, il voto resta un mantra. Si trasformano letteralmente dal primo al secondo anno, crescono tanto. Una cosa che invece è decisamente cambiata è il rapporto con il lavoro: danno molta attenzione alle aziende leader nei settori tecnologici e alle esperienze all’estero, sanno aspettare ma perseguono le loro aspirazioni con determinazione, fanno scelte lavorative che siano compatibili con le tante cose che li interessano e soprattutto sono molto attenti ai valori nella scelta delle aziende con cui collaborare. È un aspetto entrato ormai nella normalità e che non occorre nemmeno più insegnare loro.
 
Biografia
Nata a Varese, laureata in Economia aziendale nel 1986 in Bocconi con una specializzazione in Amministrazione e Controllo, Antonella Carù è professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, docente senior in SDA e, dal 2014, Dean della Graduate School. Esperta e studiosa di marketing e management dei servizi, è stata Visiting Professor presso la Copenhagen Business School, la European School of Management - ESCP-EAP, l'Università Jean Moulin Lyon e visiting scholar presso l'Ecole des Hautes Etudes Commerciales - HEC di Montrèal. “Ho scelto economia e la Bocconi immaginando un futuro in azienda, ma quando ho avuto l’opportunità di rimanere in Università ho deciso di coglierla, e mi sono appassionata. Al marketing, che non era la mia specializzazione, all’insegnamento e alla ricerca, che non erano nei miei programmi! Gli anni in Università da studentessa sono stati bellissimi, e anche i corsi che ho amato meno mi hanno aiutata a capire l’importanza di darsi del tempo per giudicare e per scegliere. Nel mio ruolo di Dean, mi capita di tornare con la mente a quel periodo ricordando cose che avevo sottovalutato e altre che avevo sopravvalutato: cerco di sensibilizzare i ragazzi di oggi a guardarsi intorno, cogliendo pienamente la ricchezza delle tante cose che l’Università offre e il valore della nostra comunità”

di Emanuele Elli

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