Fate muovere quella testa
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TRA LE SOFT SKILLS PIU' CERCATE AL MOMENTO DELL'ASSUNZIONE, IL PENSIERO CRITICO E' FONDAMENTALE NELL'ATTIVITA' DI CONSULENZA, SPIEGA L'ALUMNA TIZIANA BRKAN, PARTNER DI DELOITTE BUSINESS SOLUTIONS. IL LAVORO IN GRUPPO, LA CURIOSITA' E L'ABITUDINE ALLA COMPLESSITA' I MODI PER ALLENARLO

Il pensiero critico. Una skill importante in ogni aspetto nella nostra vita professionale, ma che diventa un elemento chiave quando bisogna far parlare i numeri di un’azienda e trarne delle conclusioni, come nel caso dell’attività di consulenza. Ne è convinta Tiziana Brkan, laurea in amministrazione, finanza e controllo in Bocconi nel 2002, partner di Deloitte Business Solutions (la società del gruppo che si occupa di fornire servizi al mondo finance o al CFO e alla sua struttura). “Risulta più decisiva delle competenze tecniche specifiche”, spiega l’alumna, che in Deloitte è responsabile dei servizi di accounting e di bookkeeping.

Quanto conta lo spirito critico nell’attività di consulenza?
Moltissimo. Con lo studio si imparano i principi contabili, ma questi poi vanno sempre interpretati per passare dalla teoria alla pratica, analizzando il caso e il contesto all’interno del quale andranno calati. Nella vita reale e in quella professionale non esistono solo il bianco e il nero. Solo applicando il pensiero critico, ovvero la capacità di analizzare il dato e porsi le domande giuste, si può comprendere a pieno una situazione e il contesto di riferimento. Per noi è fondamentale per fornire un vero servizio di consulenza personalizzato e in linea con le necessità. In sintesi, il pensiero critico è quello che fa la differenza tra un servizio standard e l’eccellenza e un approccio innovativo.

È ciò che cercate anche al momento della selezione?
Si punta di più su queste soft skills, rispetto alle competenze nude e crude. Il consulente deve sempre reinventarsi ogni volta. Poiché ogni cliente è un caso a sé, la metodologia va tarata per ogni singolo progetto. Non è detto che ciò che hai fatto in un progetto precedente vada bene per il successivo, anche se il primo è stato un successo.

Si può allenare il pensiero critico nelle aziende?
Sì. Da un lato, è collegato allo spirito di competizione che purtroppo o per fortuna è intrinseco in società come le nostre; dall’altro, comunque, si allena con lavoro in team, con il dibattito continuo, con il tutoring e stewardship. E poi servono tanta curiosità e voglia di fare la differenza.

Come giudica le nuove leve sotto il profilo della capacità di critica?
Non le vedo sempre curiose o “affamate “, come direbbe Steve Jobs. Noto che a volte hanno necessità di seguire uno schema, sebbene poi proprio lo schema stia loro stretto. Chiedono di avere regole e procedure, ma magari, se chiedi loro di fare qualcosa secondo una determinata logica, vivono la cosa come un freno alla loro creatività non accettando che a volte società come le nostre devono necessariamente seguire delle procedure per limitare i rischi e i profili di responsabilità. Soprattutto, i ragazzi devono farsi domande, capire il perché stiano facendo una certa attività o analisi. E devono chiedere, se non sono convinti o non hanno capito. Può darsi che, nel non farlo, ci sia però anche una componente psicologica.

In che senso?
Il timore di esporsi, la difficoltà di esternare in ambiente professionale quello che pensano. Proprio su questo, le società come le nostre stanno lavorando tantissimo: nel rafforzare la consapevolezza della libertà di espressione, di diversity, di inclusion. Segno che forse nelle aziende si fa fatica ad esprimere la propria opinione, anche per timore di ripercussioni sulla propria carriera.

Alla luce di tutto questo, secondo lei è utile l'insegnamento del pensiero critico a scuola e nelle università?
Assolutamente sì, la scuola deve sempre di più agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro e gli istituti che si adegueranno per primi, sono quelli dove sarà più facile che nasceranno i nuovi manager di domani. Esercitazioni pratiche, momenti di partecipazione aziendale, team building sono solo alcune delle attività su cui focalizzarsi  e che consentono a questa nuova generazione di esternare i propri commenti non solo sui social, ma con il dialogo vero, accettando le critiche in maniera costruttiva, se necessario.
 
 
Dida
Tiziana Brkan, laurea in AFC nel 2002 alla Bocconi con una tesi sui bilanci del calcio, ha sviluppato tutta la propria carriera professionale nell’ambito della consulenza, prima in Arthur Andersen Consuting, poi incorporata in Deloitte. Degli anni in Bocconi ricorda in particolare i corsi del professor Amigoni e "il metodo, ma soprattutto l’opportunità data a tutti e l’organizzazione delle lezioni e sessioni di esame, che consentivano anche a chi lavorava, come facevo io, di poterle seguire".  E come dimenticare poi "l’ingresso e i mitici “leoni”?

di Andrea Celauro

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