La lista degli altri
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La lista degli altri

LA POSSIBILITA' DEL CONSIGLIO USCENTE DI PROPORRE CANDIDATI PUO' ESSERE VISTA CON SOSPETTO. PER QUESTO IN FUTURO PER RAGGIUNGERE LA DEMOCRAZIA AZIONARIA POTREBBE SERVIRE UN INTERVENTO DELLA CONSOB PER STABILIRE REGOLE CERTE

di Marco Ventoruzzo, ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici

È desiderabile che i componenti del consiglio di amministrazione delle grandi società quotate siano scelti o, più precisamente, proposti dagli stessi amministratori in carica, ovvero l’individuazione dei componenti l’organo di vertice deve essere lasciata ai soli soci? La prima soluzione presenta evidenti rischi e altrettanto evidenti, e in parte speculari, pregi. Da un lato può causare autoreferenzialità e minore attenzione alle preferenze dei soci; dall’altro può consentire che chi meglio conosce le esigenze gestionali concorra a comporre una squadra competente ed efficace, ed anche garantire maggiore indipendenza e autonomia dei consiglieri.
Questo dibattito, che esiste in tutti i sistemi di governo societario avanzati del mondo, proprio in Italia ha visto recenti sviluppi seguiti con grande interesse da imprese, investitori, studiosi e policy makers.

Per una serie di ragioni economiche, storiche e giuridiche, a cominciare dalla prevalenza di assetti proprietari diffusi, negli Stati Uniti da tempo sono di fatto gli amministratori – anzi, i CEO – a scegliere chi sarà nominato nel consiglio. La prassi ha suscitato critiche perché consente che i “controllati”, cioè i CEO, scelgano i “controllanti” (i membri del board). Pochi anni fa il legislatore federale ha così introdotto regole volte a facilitare proposte di candidati provenienti direttamente dai soci.
In Italia, a fronte di assetti proprietari più concentrati, il principale problema di agenzia non riguarda tanto il rapporto tra managers e azionisti, bensì quello tra pochi soci potenti e investitori con partecipazioni piccole. Con elezioni a maggioranza secca, i primi sono spesso in grado di eleggere unilateralmente tutto il consiglio. Per dare maggiore voce alle minoranze, nel 2007 il legislatore (estendendo una regola già applicabile al collegio sindacale) ha introdotto il cosiddetto voto di lista. È un sistema relativamente semplice e innovativo che aggiunge un correttivo proporzionale alle elezioni dei cda. Tutti i soci che detengono una partecipazione minima possono presentare liste diverse, che saranno votate in assemblea. Un certo numero di posti in consiglio deve poi essere riservato ai candidati della lista che si classifica al secondo posto. Ad esempio, per eleggere un cda di 9 persone, il socio di controllo presenta dei nomi, ma magari anche un gruppo di fondi d’investimento propone dei candidati. Se la prima lista riceve il 55% dei voti, ma la seconda il 7%, almeno un amministratore sarà tratto da quest’ultimo elenco.

Negli ultimi anni, anche per la crescente frammentazione della proprietà azionaria, gli statuti di numerose quotate hanno consentito anche al consiglio uscente di proporre una lista, che può quindi concorrere con quelle dei soci. La scelta è certamente lecita, ma taluni temono che le liste del consiglio possano togliere spazio a candidati dei soci, e che esse siano in realtà espressione, dietro le quinte, di pochi soci potenti che influenzano gli amministratori.
Questi rischi possono essere contenuti con clausole statutarie che in certi casi diano la precedenza a candidati proposti dai soci, e assicurino autonomia nella selezione dei candidati del consiglio, ad esempio facendoli scegliere ad amministratori indipendenti, come già numerosi statuti prevedono. In questo modo, la lista del consiglio può favorire l’aggregazione del consenso e forse contribuire a un approccio più manageriale nella scelta dell’organo di gestione. I prossimi anni consentiranno di valutare se l’obbiettivo è raggiunto, ma potrebbe essere utile un intervento di Consob che stabilisca regole certe ed equilibrate per contemperare ruolo del consiglio e democrazia azionaria.

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