Il caso Regeni: oltre i limiti della diplomazia, l'efficacia del diritto internazionale
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Il caso Regeni: oltre i limiti della diplomazia, l'efficacia del diritto internazionale

SPESSO DERISI PER LA LORO ASSERITA SCARSA EFFICACIA, GLI STRUMENTI DELLA GIUSTIZIA NAZIONALE E INTERNAZIONALE IN CASI COME QUESTO POSSONO COSTITUIRE UNA VALIDA ALTERNATIVA

di Giorgio Sacerdoti

Il caso Regeni mostra chiaramente i limiti dell’azione diplomatica per tutelare i propri cittadini all’estero, anche quando sia purtroppo possibile solo a posteriori, da parte di uno Stato come l’Italia dal peso limitato nell’arena internazionale. Anche a passar sopra su ogni incertezza politica, è insito nella natura delle relazioni internazionali che uno Stato debba tener conto di una quantità di considerazioni e interessi nazionali, spesso contrastanti, nel prendere posizione antagonistica rispetto alle autorità di un altro paese, anche in presenza di ottimi motivi.

Nel mondo globale di oggi, un paese come l’Italia deve convivere e non può non cercare di mantenere buoni rapporti a lungo termine con una molteplicità di paesi non democratici, economicamente e strategicamente importanti, come è l’Egitto. Paese per di più geograficamente vicino, una ragione di più per cercare di mantenere relazioni di cooperazione. Bilanciare i vari interessi senza sacrificare posizioni di principio, cioè la giusta pretesa che l’Egitto ci dia conto del trattamento inumano inflitto al povero Giulio, è un compito difficile che facilmente può sfociare in uno stallo frustrante.

A ciò si aggiunge che i mezzi della diplomazia sono limitati. Spesso i risultati si fanno attendere troppo a lungo come insegnano vicende ben note di nostri connazionali sequestrati all’estero. Così si può dire anche per l’invocazione che l’Italia ritiri nuovamente il nostro ambasciatore al Cairo. Un gesto plateale, che potrebbe soddisfare al momento l’opinione pubblica, ma inidoneo di per sé a portare al risultato principale oggi da perseguire, cioè che l’Egitto riconosca la propria responsabilità e punisca i colpevoli.

A questo punto conviene rivolgere l’attenzione agli strumenti della giustizia, a livello nazionale e internazionale. Strumenti spesso derisi per la loro asserita scarsa efficacia ma che in casi come questo possono costituire una valida alternativa. Anzitutto tanto di cappello alla Procura di Roma che con tenacia, superando le difficoltà della scarsa cooperazione delle autorità egiziane, è riuscita con un lavoro da certosini, quasi da 007, ad appurare le precise responsabilità di quattro alti ufficiali egiziani nell’arresto, tortura e uccisione del povero Giulio. Indagine che ricorda la incriminazione nel 2003 da parte della Procura di Milano sotto la direzione di Armando Spataro di agenti italiani e della CIA responsabili del rapimento a Milano dell’iman Abu Omar.

Se le prove contro i quattro imputati saranno confermate in giudizio, non potrà non seguirne una dura condanna vista la gravità dei reati. E’ vero che i quattro non potranno essere materialmente arrestati, dando per scontato che l’Egitto mai li estraderà. L’effetto di una condanna italiana si estenderà però oltre ai nostri confini. Grazie al mandato d’arresto europeo e alla rete di trattati di estradizione del nostro paese, se essi mettessero un piede fuori dall’Egitto, in un paese democratico, correrebbero il rischio di ritrovarsi nelle nostre galere. In pratica essi saranno confinati in Egitto, vita natural durante.

La portata delle azioni giudiziarie italiane non si ferma qui. Anche l’Egitto come Stato si troverà a dover rispondere davanti alla nostra magistratura di questo crimine internazionale, commesso da propri funzionari nell’esercizio delle loro funzioni. In Italia infatti vige da qualche anno il principio che uno Stato estero non può invocare la tradizionale immunità sovrana che spetta gli Stati esteri per atti ufficiali, detti anche iure imperii, al fine di sottrarsi alla competenza dei nostri giudici civili, quando si tratti di giudicare su gravi violazioni del diritto internazionale a danni di nostri cittadini. Tali sono i crimini contro l’umanità, di guerra e la tortura, quest’ultima bandita internazionalmente dalla convenzione ONU del 1984 di cui sono parte sia l’Italia che l’Egitto.

In controtendenza addirittura rispetto alla Corte Internazionale di Giustizia, lo ha sancito la nostra Corte costituzionale con una decisione diventata ormai celebre. Con la sentenza n.238 del 2014 la Corte ha affermato la competenza dei nostri giudici nei confronti della Repubblica Federale di Germania quale successore del III Reich per i danni conseguenti alle stragi delle forze naziste di occupazione in Italia nel 1944 e all’ingiusta detenzione dei nostri militari internati in Germania dopo l’armistizio del settembre 1943. Un orientamento ormai consolidato, confermato di recente dalla Cassazione a sezioni unite (sentenza n. 20442 del 2020).

Quali gli effetti di questa giurisprudenza?

Una volta condannati penalmente i funzionari egiziani per i gravissimi reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, i parenti stretti di Giulio potrebbero adire la nostra giustizia civile contro lo stesso Egitto. I nostri tribunali sarebbero competenti in base ai principi che abbiamo ricordato a dichiararne la responsabilità e pronunciare una condanna al risarcimento dei danni morali e materiali. Affermare giudiziariamente un “crimine di stato” è cosa rara. Tanto più grande sarebbe l’impatto di una simile sentenza per il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana a livello internazionale. Servirebbe anche come monito a protezione dei nostri cittadini all’estero in futuro.

Dove la diplomazia non arriva il diritto è in grado di far valere la propria efficacia.

 

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