Porte chiuse per gli irregolari: cosi' sicurezza e diritti sono a rischio
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Porte chiuse per gli irregolari: cosi' sicurezza e diritti sono a rischio

BARRIERE ALL'ACCESSO PER LE CURE E CONDIZIONI DI VITA PRECARIE: A ESSERE INSICURI SONO GLI IMMIGRATI. ECCO PERCHE' IL BINOMIO IMMIGRAZIONE E SICUREZZA VA RIVISTO. E CAPOVOLTO

di Carlo Devillanova, associato presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche

Una rapida ricerca in internet dell’espressione «sicurezza e immigrati irregolari» (875mila risultati, 20/12/2018) manifesta la frequenza con cui i termini vengono associati. Nelle scienze sociali è infatti noto come il fenomeno dell’immigrazione sia stato progressivamente legato alla sfera dei problemi relativi alla sicurezza, in termini, per esempio, di minaccia economica, all’ordine pubblico, all’identità culturale di un paese.
In una recente ricerca svolta in collaborazione con Tommaso Frattini e Francesco Fasani abbiamo provato a rovesciare questa prospettiva e guardare a come la condizione di irregolarità si ripercuota sulla sicurezza degli immigrati stessi. La ricerca si avvale dei dati di quasi 8mila immigrati irregolari che tra il 2014 e il 2017 si sono recati per la prima volta nell’ambulatorio medico del Naga (www.naga.it). Si tratta di uno dei più grandi database sull’immigrazione irregolare a livello mondiale, che sin dal 2000 ci consente di monitorare le caratteristiche sociodemografiche di una popolazione che, per sua natura, sfugge alle rilevazioni statistiche.
Rispetto al passato, emergono alcune novità. In primo luogo, vi è stata una chiara inversione di tendenza nel numero di visite che – in costante riduzione a partire dal 2007 – hanno toccato un punto di minimo nel 2015 per poi tornare a crescere nei due anni successivi (2.155 prime visite nel 2017). L’aumento si accompagna a una forte riduzione dell’anzianità migratoria: la percentuale di individui in Italia da meno di due anni è aumentata dal 39% nel 2015 al 52% nel 2017. Si evince quindi un aumento delle presenze irregolari in Italia, da collegarsi alla sostanziale chiusura dei canali di fuoriuscita dalla condizione di irregolarità.
In secondo luogo, assistiamo a un peggioramento della già difficile condizione abitativa.

A partire dalla crisi del 2008, c’è stato un costante aumento dei pazienti senza dimora fissa, che erano meno del 10% del campione nel 2009 e salgono a quasi il 25% nel 2016 (con una lieve inversione di tendenza nel 2017: 22,4%). Il problema è particolarmente diffuso per la componente maschile (circa il 31% di senza fissa dimora nel 2017). Contestualmente, si è ridotta la percentuale di persone che ha una casa in affitto – che rappresenta comunque oltre i tre quarti del campione. La percentuale di individui che vive presso il proprio datore di lavoro – in calo dal 2009 al 2013 –, è tornata a crescere, passando dall’1,1% del 2014 al 2,1% nel 2017 (4,2% fra le donne). Questo dato lascia intravedere una ripresa dell’occupazione.
Infatti, la terza novità è, a partire dal 2014, l’aumento dell’occupazione, dopo il drammatico crollo a seguito della crisi del 2008. Nel 2017 oltre un terzo del campione lavora; un dato importante, dato che circa il 37% degli individui è arrivato in Italia da meno di un anno e deve ancora incorporarsi al mercato del lavoro: la percentuale di occupati fra chi è in Italia da meno di un anno è circa il 20% e passa al 50% dopo tre anni di permanenza.
Infine, per la prima volta abbiamo potuto analizzare le informazioni cliniche relative agli oltre 2mila utenti visitati nel 2017. I risultati contraddicono molti luoghi comuni sul tema: il campione non mostra problemi di salute significativamente diversi rispetto alla popolazione italiana. In particolare, le donne si recano al Naga prevalentemente per problemi legati all’apparato genitale, contraccezione e gravidanza (24,8%), mentre le patologie più diffuse fra i pazienti uomini sono quelle legate al sistema respiratorio (14,14%) e muscoloscheletrico (13,73%). Emerge inoltre l’estrema rarità di malattie infettive (0,014% del campione Naga) e in particolare della tubercolosi (tre casi). Piuttosto, la condizione di irregolarità risulta dannosa per la salute degli immigrati. Non solo essa crea barriere all’accesso alle cure, testimoniato dal fatto che almeno il 10% dei pazienti necessita di un intervento in ambito ospedaliero, per il completamento dell’iter diagnostico e terapeutico, cui sarebbe difficile accedere senza l’attività del Naga. Inoltre, l’irregolarità è legata a condizioni socioeconomiche dannose per la salute. Dai dati emerge, per esempio, la fragilità delle persone senza fissa dimora, che presentano una elevata frequenza di traumatismi, patologie del sistema respiratorio e problemi cutanei. Anche la tipologia occupazionale si associa ad una diversa frequenza di patologie: le malattie del sistema respiratorio sono molto più comuni fra i lavoratori ambulanti (22,2%) che fra quelli con un’occupazione temporanea (11,1%) e permanente (5,5%). Simili differenze si osservano per i traumatismi.
In conclusione, lo studio mostra un gruppo di persone che ha problemi di salute non drammaticamente diversi da quelli della popolazione italiana, ma per le quali le precarie condizioni di vita e lavorative e le difficoltà nell’accesso al Servizio Sanitario Nazionale comportano il mancato godimento del diritto fondamentale alla salute. In questo senso, il binomio immigrazione irregolare e sicurezza deve essere una priorità dell’agenda politica.
 
 

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