Per avere successo bisogna imparare anche ad affrontare i fallimenti
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Per avere successo bisogna imparare anche ad affrontare i fallimenti

DAVIDE GRASSO, ALUMNUS BOCCONI E PRESIDENTE E CEO DI CONVERSE, RACCONTA COME LUI VALORIZZA LA DISCIPLINA, LA CAPACITA' DI METTERSI ALLA PROVA E IL CONFRONTO CONTINUO CON IL SUO TEAM

Le All Star sono un mito. Praticamente identiche a se stesse da oltre un secolo, rappresentano uno dei pochi casi in cui il nome di un modello, di scarpe in questo caso, è quasi più forte del brand che le produce, Converse. Oggi alla guida di questo marchio, che dal 2003 fa parte della galassia Nike, c’è Davide Grasso. Con un Mba conseguito in Bocconi nel 1992, il manager è entrato nel mondo delle calzature sportive varcando la porta di Nike, per occuparsi delle strategie marketing: a lui il colosso americano ha dato l’incarico di conquistare il mondo del calcio. Il risultato è arrivato soddisfacendo ogni aspettativa della compagnia, che nel 2016 l’ha nominato presidente e ceo di Converse.
 
Che cosa l’ha spinta a frequentare un Mba in Bocconi?
La Bocconi è stata una scelta precisa. Dopo essermi laureato e aver fatto alcune esperienze di lavoro nella moda e presso Armando Testa, ho voluto fare un MBA per espandere le mie competenze e SDA Bocconi era l’unica scuola di management che mi permetteva di affiancare allo studio l’esperienza sul campo, lavorando anche su progetti proposti dagli studenti. Io, per esempio, ho portato il caso di un’azienda bresciana di abbigliamento che stava attraversando un momento di trasformazione e aveva bisogno uno studio di ristrutturazione.
 
Che cosa si aspettava da SDA Bocconi?
Moltissimo, il team di docenti era composto da nomi di altissimo calibro, Mario Monti, Enrico Valdani, Claudio Dematté: questo era già un ottimo punto di partenza. La SDA, inoltre, offriva una formazione strategica completa, un approccio decisamente pragmatico alle tematiche, così come un orientamento etico e sociale molto profondo. In sostanza, mi aspettavo di ricevere un toolbox di competenze e valori che mi sarebbe servito in futuro. Ed è stato proprio così.
 
C’è stato qualche evento durante l’Mba che in qualche modo le ha cambiato la sua vita?
Sì, uno in particolare è quello che mi piace ricordare. A un certo punto il professor Valdani ci fece fare un’analisi di competitive intelligence. Divise la classe in due gruppi e io fui nominato speaker del mio team: in quel ruolo mi trovai per la prima volta a parlare in pubblico di una tematica complessa, rispetto a cui avevamo avuto un tempo limitato per studiare l’argomento e definire una soluzione. In quel momento ho capito di avere una dote, che in seguito è diventata uno dei miei punti di forza.
 
Quindi lei suggerisce ai giovani che vogliono intraprendere una carriera come la sua di mettersi in gioco?
Per prima cosa bisogna essere curiosi: oggi il contesto è globale, gli input sono moltissimi, le dinamiche sociali o di business continuano a evolversi. Poi bisogna mettersi alla prova, uscire dalla propria zona di comfort, esplorare. Infine, bisogna essere disposti a mettersi in discussione, senza perdere fiducia in se stessi. Per guidare un’azienda è necessario darsi una disciplina e imparare ad affrontare le sconfitte in maniera costruttiva, un po’ come nello sport: le battute d’arresto ci sono in tutti i percorsi, anche nell’ambito della carriera professionale.
 
Oggi si parla tanto di soft skills, intese come un come vero e proprio patrimonio che può fare la differenza. È così?
Sicuramente. Durante l’Mba più volte ci è stato ripetuto: per essere accettati dovete essere uguali, per essere vincenti dovete essere diversi. La predisposizione all’ascolto, per esempio, è una delle qualità fondamentali perché implica il desiderio di continuare a imparare: ciò significa tradurre ogni punto d’arrivo in una linea di partenza.
 
Le sfide però sono disseminate di dubbi e incertezze. Come si affronta il ruolo di decision maker e come si riesce a non vacillare di fronte a una decisione?
Per rispondere citerò una frase pronunciata qualche anno fa dal fondatore di Nike: “Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti”. Recentemente ho riletto queste parole in una citazione di Winston Churchill. Poi c’è l’esperienza che viene in soccorso, così come il confronto con il proprio team: il rapporto fra un leader e il suo gruppo di lavoro deve basarsi sulla logica della dialettica.
 
Quindi è vero che i manager non calano più dall’alto le loro idee?
Fin dai tempi in cui sono entrato in Nike, il mio stile non è mai stato autocratico. Non bisogna avere fretta di imporre le proprie idee, bisogna invece avere un’onesta intellettuale nei confronti di tutti. Questa è la strada per farsi accettare dalla squadra di lavoro e per prendere le giuste decisioni.
 
Le ha una propensione alla leadership dinamica: in un’occasione passata ha sostenuto che la digital disruption è un’opportunità. In che termini?
Oggi le persone vogliono sentirsi libere di scegliere, per questo motivo i brand non possono pensare di tenere i consumatori in ostaggio applicando certe logiche di fidelizzazione, ma devono saper soddisfare i loro bisogni e desideri. Il digitale ci permette di conoscere molto bene i nostri clienti così da poter offrire loro ciò che desiderano per migliorare la loro vita. La tecnologia, inoltre, consente trasparenza, accessibilità e spontaneità, ma bisogna avere autocontrollo per non lanciare messaggi superficiali. Se usati bene, gli strumenti digitali possono dare una spinta propulsiva al successo di un business.
 
Esiste la ricetta del buon manager?
Non esiste una soluzione standardizzata, per ogni azienda è diverso. Bisogna calibrare i valori dell’azienda e la visione manageriale, puntando sull’autenticità che per i consumatori si traduce in verità.
 
C’è qualche libro che l’ha ispirata particolarmente?
Io leggo di tutto, sono onnivoro, ma ci sono alcuni saggi di business che sono stati determinanti: Judgment in cui Noel M. Tichy e Warren G. Bennis analizzano il tema delle decisioni, La mia IBM: chi dice che gli elefanti non possano ballare? Il libro che rivela come Louis V. Gerstner Jr sia riuscito a riportare al successo l’azienda americana, Winning the Brain Game di Matthew E. May sulle logiche cognitive e Do What You Love, the Money Will Follow. Quest’ultimo mi ha dato la spinta di andare in Olanda per iniziare a lavorare in Nike.
 
 
 
 
 
 

di Ilaria De Bartolomeis

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