Formidabile la vita nelle residenze Bocconi
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Formidabile la vita nelle residenze Bocconi

DA POCHI POSTI AGLI OLTRE 2.000 ATTUALI, I PENSIONATI HANNO OSPITATO NELLE PROPRIE STANZE MIGLIAIA DI STUDENTI DI OGNI PARTE D'ITALIA. CHE LI RICORDANO COSI'

Una torre tondeggiante di vetro, acciaio e cemento, il primo tassello a svelarsi del nuovo campus Bocconi firmato dallo studio giapponese di architettura Sanaa: con la ripresa delle attività dopo l’estate è entrata in funzione la nuova residenza Castiglioni, che con i suoi 240 posti letto porta il totale della disponibilità a 2.007 posti. Una Università, otto residenze studentesche, stanze diverse, uno stesso stile di vita: quello del ‘pensionato’. Un’esperienza che segna, che rimane nella memoria quanto e più di altre, a giudicare dal racconto che ne fanno gli alumni che l’hanno vissuta.

L’inizio della storia
Metà degli anni Cinquanta, via Bocconi 12. Il ricordo di Mario Garraffo, laurea nel 1960, è limpido: “Quando sono arrivato in pensionato nel novembre 1955 era stato ultimato e reso agibile solo il quinto piano. Credo di essere stato il quarto o il quinto ospite del nuovo edificio. Prima di me Roberto Ruozi, appena matricola e poi futuro professore di Tecnica bancaria e futuro rettore dell’Ateneo, Umberto Airoldi e Franco Saccani”. Garraffo, donor dell’Università, ha avuto intitolata la sua stanza di allora: “Dalla Sicilia, ero arrivato a Milano come matricola l’anno prima, ma, non essendoci ancora il pensionato e non essendo pratico di Milano, ero finito in una stanza in affitto a Città studi! L’apertura del pensionato, quindi, mi aveva dischiuso le porte del paradiso. Non più ore sulla filovia, non più la buia stanza in affitto, ma una nuovissima e luminosa stanza singola, con vista sull’Università!”.

Gli fa eco Roberto Barbieri, laureato nel 1964 ed entrato in via Bocconi 12 tre anni dopo Garraffo: “Per cinque anni questa è stata la mia seconda casa, nella quale convivevano 180 studenti e 180 studentesse (allora debitamente separati). Il pensionato era frequentato da studenti provenienti da tutta Italia ognuno dei quali portava mentalità, usi e abitudini del proprio paese e questa commistione, per tutti, reciprocamente, è stato un fattore di crescita. Ciò specialmente allora, in una società ante ‘68, in un momento in cui si aveva una visione ottimistica del futuro”.

“Erano anni” aggiunge Rita Gastaldi, laureata nel 1968, “nei quali non era facile andare a vivere da soli, soprattutto per quanto riguarda le ragazze, e il pensionato era il primo passo, protetto, verso l’emancipazione e l’indipendenza. Le studentesse ospiti erano quasi tutte della facoltà di Lingue – le matricole del mio anno ad Economia, se non ricordo male, erano 9, di cui ospiti del pensionato forse 4 o 5; complessivamente, per i 4 anni, le iscritte ad Economia comunque pochissime!”.

La vita in una stanza
La propria stanza di pensionato diventa il proprio rifugio, testimone silenzioso della nuova vita universitaria.
“La mia camera, la 417, al quarto piano dell’ex ‘femminile’, nuova di zecca, illibata, un po’ troppo bianca e vuota, aspettava solo me per prender vita”, scherza Nadir Luvisotti, investment banking associate at Deutsche Bank - Telecom, media & technology, laureato nel 2012. “Facemmo un patto di sangue, io e la mia camera. Come arrivammo insieme in Bocconi, ci promettemmo amore eterno”.

E il rapporto si costruisce giorno per giorno, anche grazie ai piccoli riti: Salvatore Peluso, laurea nel 2005, senior investment manager del Fondo imprese sud, ricorda “l'odore del mio caffè che nei 9mq di una stanzetta (tipo quella del ragazzo di campagna...) svegliava mezzo corridoio... In realtà posso ragionevolmente dire che il mio caffè con la cremina era uno dei migliori della zona, almeno così dicevano”.

“Il letto a ribalta si nascondeva e avevi lo spazio per mettere delle sedie a fare salotto”, aggiunge Stefano Ranieri, laureatosi nel 2002, head of product regulatory State Street Bank. “Dietro l'anta dell'armadio non c'erano solo vestiti, ma anche un lavandino con solo acqua fredda. Il pranzo della domenica lo si faceva tutti insieme nel corridoio; si cucinava con i fornellini elettrici e per fare il tavolo si smontava la porta del bagno poggiata su due comodini. Erano i pranzi domenicali di noi ragazzi della Calabria, della Puglia, della Sicilia, della Campania, lontani da casa, che il pensionato riusciva comunque a far sentire a casa”.

Anche perché, sottolinea Antonio Cefalo, laurea nel 2016, “la residenza è dove le cose accadono, dove non hai un padrone di casa che ti rimprovera di essere studente affittandoti il suo sgabuzzino, ma, al contrario, ti regala persone che hanno le tue stesse prospettive, i tuoi stessi bisogni e le tue stesse difficoltà. Tornassi indietro, la sceglierei altre mille volte”.

Amicizie che restano
Porta a porta, giorno per giorno, esame dopo esame, nei corridoi si costruisco amicizie durature: “Lì ho conosciuto amici che mi sono rimasti per la vita”, racconta Massimo di Tria, cio del Gruppo Cattolica Assicurazioni, laureato nel 2000. “Uno di loro mi ha scelto come suo testimone di nozze e altri due, che si sono a loro volta conosciuti in pensionato, mi hanno onorato chiedendomi di fare da padrino di battesimo al loro secondogenito”.

Non è da meno l’esperienza di Davide Glavina, head of finance di Generali International, laurea nel 1997, che con un compagno di pensionato si incontra “con le famiglie e i figli ancora oggi. Ho iniziato economia aziendale nel 1992 arrivando da Trieste. Il pensionato è stata un’esperienza eccezionale, che consiglierei a tutti, un’esperienza che ti porta a maturare rapidamente e fa crescere quella che si può chiamare intelligenza sociale”.

D’altronde, il capitolo amicizie è uno dei punti saldi della vita in pensionato: “Dopo 5 anni di vita, ho costruito un rapporto strettissimo con i miei coinquilini. La foto che abbiamo pubblicato su Facebook alla fine dell’esperienza recitava: ‘Fine di una convivenza, inizio di un’amicizia”, rammenta Andrea Ghirardelli, laurea 2014, legal specialist presso Bialetti Store. “Un punto veramente utile per la mia formazione è stata la fortuna di aver avuto ogni anno un coinquilino straniero con il quale ero costretto a parlare inglese”.

Amicizie per la vita anche per Letizia Castellano, laureata nel 2016 alla triennale e ora laureanda al biennio: “Il pensionato mi ha donato molte amiche e tre in particolare. Loro sono state la mia costante in tutti questi anni e con loro ho condiviso non solo i tre anni che abbiamo passato insieme in pensionato, ma anche lo scambio, l’entrata in specialistica, la laurea, il viaggio per festeggiarla, gli anni della specialistica e adesso il periodo di internship”, racconta.

Ricette per la convivenza
“Ogni residenza universitaria della Bocconi è una nazione con le sue caratteristiche. La ricetta per la convivenza è parlare con tutti, ma fare più domande che dichiarazioni. E poi ascoltare e informarsi degli interessi di tutti”, spiega Enrico Spampinato, laurea 2016.  “L’insegnamento che questa vita al Dubini mi ha lasciato è che appartenere a un’istituzione è l’aspetto migliore da avere in comune con qualcuno”.

Italo Angelo Petrone, laurea nel 2012, export manager presso Amazonas Produce (Lima, Perù): “L’atteggiamento migliore, secondo me, è dare al luogo il giusto valore: non una party house, non un convento ma un luogo sociale di studio, cultura e amicizia. Un luogo dove poter avere sempre una compagnia, sempre un amico presente a poche scale di distanza, persone nuove e di varia provenienza internazionale ogni anno”.

Per sempre nella memoria
“Ricordo ancora il D-day, il giorno del mio personale sbarco: 355 ragazzi, il mio corridoio, il primo maschile”, rammenta Filippo Gaggini, laurea 1990 e oggi managing director Progressio Sgr. “Oltre a formarmi al mio futuro di professionista, l’esperienza in Bocconi mi ha lasciato un insegnamento importante: la condivisione e il confronto con i colleghi è fondamentale non solo per la crescita professionale, ma soprattutto per quella umana”.

Su questo concordano tutti gli alumni: “Essere stati Bocconiani e al pensionato rimane al di là di tutta la vita successiva... una vera esperienza”, dice Luciana Bruciati, laureata nel 1988, credit risk manager presso Whirlpool Italia. “Ricordo i timori iniziali, la piccola camera con vecchi mobili, i rumori della costruzione della SDA Bocconi e il grande sacrificio per sbiennare al Des” (nell’ordinamento del corso, in quel periodo, era previsto uno sbarramento alla fine del secondo anno, da completare in tempi prestabiliti).

E Andrea Carucci, digital channels manager presso Accenture New York, laureato nel 2011 e double degree con Fgv Brazil nel 2013, aggiunge: “I cinque anni al pensionato sono stati quelli più formativi della mia età adulta. Guardandomi indietro, posso dire con certezza che buona parte del mio successo in università sia merito di tutti quei caffè e quelle ore spese a ripetere in gruppo sulle scale dell’aula studio”.

D’altronde”, aggiunge Michelangelo Bruno, laurea nel 2012, ispettore presso la Banca d’Italia, “come sosteneva Aristotele, l’uomo è un animale politico e nell’era della digitalizzazione le mere nozioni accademiche, da sole, non rendono il profilo di uno studente eccellente. Lo studente eccellente, oggi ancor più di ieri, ha spiccate qualità relazionali”.

“Tutte le lezioni di vita apprese in pensionato”, riprende Greta Nasi, laurea nel 1999, professore associato alla Bocconi, “mi sono servite nella quotidianità professionale per creare relazioni di fiducia con interlocutori con cui mi sono trovata a confrontarmi nelle città dove mi ha portato il mio lavoro”.

Insomma, chi è stato in residenza, ha creato lì una “una piccola famiglia”, sottolinea Andrea Scarfone, laurea nel 2007, co-fondatore e ceo di AD control. “E i ricordi più belli sono legati ad esperienze condivise. Dai pranzi domenicali in corridoio alle nottate pre-esame. Ricordi che, a distanza di più di 10 anni, sono ancora impressi nella memoria per l’intensità che hanno avuto e sui quali si potrebbe tranquillamente scrivere un libro :)”.
 

di Andrea Celauro

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