Lo Stato delle concessioni: riflessi giuridici di una tragedia
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Lo Stato delle concessioni: riflessi giuridici di una tragedia

IL CROLLO DEL PONTE MORANDI DI GENOVA HA APERTO NUMEROSI INTERROGATIVI. A NON TUTTI PERO' PUO' RISPONDERE IL GIURISTA

di Pasquale Pantalone, assegnista di ricerca in diritto amministrativo, Universita' Bocconi

Il 17 agosto 2018 il presidente del consiglio dei ministri ha dichiarato che “(...) il governo, tramite la competente Direzione del ministero delle Infrastrutture, ha formalmente inoltrato a Autostrade per l’Italia la lettera di contestazione che avvia la procedura di caducazione della concessione. Il governo contesta al concessionario che aveva l’obbligo di curare la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’autostrada A10, la grave sciagura che è conseguita al crollo del ponte”.

Il comunicato del premier prefigura dunque, a seguito del tragico crollo del ponte Morandi di Genova, l’interruzione anticipata del rapporto concessorio tra lo Stato e la società che gestisce gran parte della rete autostradale italiana.

L’annunciata “caducazione” della concessione pone numerosi interrogativi, innanzitutto giuridici, tra i quali la scelta dello strumento, la normativa applicabile, l’imputabilità dell’eventuale inadempimento contrattuale, le conseguenze in punto di giurisdizione.
Quanto allo strumento, occorre precisare che l’ordinamento prevede forme tipiche di “caducazione” (degli effetti) di provvedimenti amministrativi già adottati, tra cui la revoca, che è uno dei massimi esempi del potere di autotutela della pubblica amministrazione.
Come prescritto in via generale dall’art. 21-quinquies della legge 241/1990, la revoca può essere esercitata nelle sole ipotesi ivi previste (sopravvenienze) e, comunque, previa corresponsione di un congruo indennizzo. L’istituto è evocato pure dall’art. 176, c. 4, d.lgs. 50/2016 (codice dei contratti), in tema di contratti di concessione, confermando l’obbligo di corrispondere un corposo indennizzo.

In passato la dottrina non ha mancato di evidenziare che la revoca possa talvolta tradursi in concreto in un provvedimento di natura sanzionatoria che l’amministrazione pone in essere a seguito della violazione di un obbligo dell’interessato (di un concessionario, ad esempio).

Quest’ultimo strumento (c.d. “revoca-sanzione” o “decadenza”) - che è quello cui presumibilmente vorrà ricorrere il governo - sembra però ammissibile nei limiti in cui sia disciplinato da una specifica legge o dai rapporti convenzionali tra le parti.
A questo riguardo, il già citato art. 176 prevede che il concedente, in caso di inadempimento del concessionario, possa chiedere la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.

Bisogna però precisare che, pur se cristallizza principi generali, la norma non si applica alle procedure e ai contratti posti in essere dopo l’entrata in vigore del codice (la concessione che qui interessa risale invece al 2007). Inoltre, le concessioni autostradali sono regolate da una normativa peculiare, per cui non risulterebbe agevole l’applicazione della normativa generale per il noto principio secondo il quale “lex specialis derogat generali”.
Occorre, a questo punto, volgere lo sguardo anche e soprattutto al contenuto del rapporto convenzionale, che prevede la “decadenza” della concessione qualora sia accertato il “grave inadempimento” del concessionario a una serie di obblighi previsti dalla stessa convenzione, tra cui quello di provvedere alla manutenzione e alla riparazione tempestiva delle infrastrutture.

Ed è proprio su questo punto, cioè sull’imputabilità dell’eventuale (grave) inadempimento alla attuale società concessionaria, che si gioca il “destino” della concessione autostradale in esame.

La complessità di tale accertamento è di tutta evidenza per la pluralità degli attori coinvolti (in questo senso si dovrà anche appurare il ruolo svolto dalla Struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali istituita presso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e delle cause che hanno determinato il crollo del ponte (un difetto di progettazione, di costruzione, o di manutenzione?). Un elemento certamente cruciale per l’istruttoria sarà l’individuazione del responsabile della metodologia delle verifiche sull’infrastruttura: infatti, non si può escludere a priori che la società concessionaria abbia adempiuto all’obbligo di manutenzione, ma secondo una metodologia tecnicamente errata, inefficace, oppure non al passo coi tempi.

Né si possono ignorare le conseguenze in punto di giurisdizione: sarà il giudice ordinario o il giudice amministrativo ad accertare gli obblighi nascenti dalla concessione autostradale? Anche in questo caso, la questione non è di agevole soluzione: tuttavia, se si ritiene che la concessione rientri nello schema dell’accordo pubblicistico (art. 11, l. 241/1990) le controversie circa gli obblighi da essa nascenti saranno devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Infine, la tragedia genovese solleva ulteriori questioni di più ampio respiro: è possibile una revoca/decadenza parziale di una concessione? Che succederà, dal punto di vista tecnico ed economico, nel caso in cui la gestione ritornasse al concedente Anas, a tacere del problema del futuro dei dipendenti della concessionaria? Qual è il corretto assetto dei rapporti tra poteri dello Stato (non può passare inosservata la mossa della politica di procedere immediatamente con uno strumento di diritto amministrativo, invocando la cura dell’interesse pubblico, senza attendere le risultanze delle indagini della magistratura)? Come ridefinire i rapporti tra controllori e gestori di attività di pubblico interesse, indipendentemente da chi svolga i primi e i secondi (non si dimentichi che in Italia è stata istituita anche un’Autorità di regolazione per i trasporti)?

Molte di queste domande non possono essere affrontate dal giurista, anche perché investono il tema di fondo del rapporto pubblico-privato nel mercato.
 

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