Norvegia, Svizzera, Canada: tre soluzioni impossibili per la Brexit
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Norvegia, Svizzera, Canada: tre soluzioni impossibili per la Brexit

RIDEFINIRE IL QUADRO GIURIDICO DELLE RELAZIONI COMMERCIALI CON L'UNIONE EUROPEA PER POI NEGOZIARNE I TERMINI. UNA STRADA TUTTA IN SALITA VISTO CHE LE ATTUALI SOLUZIONI IN CAMPO NON PAIONO ANDARE BENE

di Claudio Dordi, professore associato presso il Dipartimento di studi giuridici

Il quadro giuridico dei rapporti economico-commerciali tra il Regno Unito e l’Ue dopo la Brexit sarà definito dal risultato dei negoziati che, come concordato fra le due parti, si terranno in un periodo transitorio, da marzo 2019, data della prevista fuoriuscita del Regno Unito, a dicembre 2020. I tempi, relativamente lunghi, non devono sorprendere: interrompere una relazione fondata sul mercato interno, dove la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali è sancita dalle norme dei trattati istitutivi e regolata da un’imponente legislazione secondaria (regolamenti e direttive), è compito arduo. L’attuale assenza di dazi alla circolazione dei prodotti fra gli Stati membri, resa possibile dalla presenza di un’unione doganale, è solo un aspetto dei profondi legami economico-commerciali fra i paesi dell’Ue. Il buon funzionamento del mercato interno, infatti, dipende dall’armonizzazione delle regole applicate da ogni Stato in materia tecnica e sanitaria per i prodotti e dei criteri stabiliti per l’accesso alle professioni o alla prestazione dei servizi (per esempio: servizi finanziari) risultante da decenni di negoziati fra gli Stati membri in seno agli organi dell’Unione che hanno prodotto innumerevoli atti normativi.
Una volta compiuta la necessaria convergenza normativa, l’operare del principio del mutuo riconoscimento ha sancito concretamente il diritto di prodotti e servizi di circolare liberamente nell’Ue se beneficiari dell’accesso nel loro mercato di origine. La soluzione del problema, peraltro, non è certo favorita dagli obiettivi dichiarati dal Regno Unito nel suo Libro Bianco della Brexit: il desiderio espresso di «mantenere integrazioni profonde» con l’Ue mal si concilia con l’obiettivo dichiarato dei britannici di uscire dal mercato interno e dall’unione doganale, scelta che potrà avere effetti oltre la sfera economico commerciale, se si pensa alla futura necessità di stabilire controlli alle frontiere fra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda per sostenere i controlli a merci e persone in entrata e in uscita dal Regno Unito.

I paletti posti dal Regno Unito escludono dal novero delle soluzioni alcuni dei modelli di integrazione senza adesione adottati dall’Ue con paesi terzi, meglio conosciuti con i nomi degli Stati terzi interessati, che sono stati al centro del dibattito sulla Brexit negli ultimi mesi. Il modello Norvegia, che prevede uno Spazio economico europeo (partecipato anche da Islanda e Liechtenstein) nel quale, pur in assenza di un’unione doganale, i paesi terzi partecipano, almeno in parte, al mercato interno, include temi fondamentalmente contrari alla Brexit, come la libera circolazione delle persone, il mantenimento del contributo finanziario ai fondi di coesione Ue e, soprattutto, l’accettazione della legislazione Eu rilevante per il mercato interno (acquis communautaire), senza alcuna possibilità di partecipare al processo decisionale.
Il modello Svizzera, basato su una serie di accordi bilaterali ad hoc, e quello Ucraina (un accordo di associazione basato su una zona di libero scambio) prevedono pure una sorta di partecipazione al mercato interno. Rimarrebbe a disposizione il modello Canada (il Canada Eu Trade Agreement – Ceta), il quale, fra i numerosi punti insoddisfacenti, non prevede l’armonizzazione delle regole tecniche e sanitarie e, soprattutto, non è particolarmente generoso quanto alla liberalizzazione del settore terziario, assai importante per il Regno Unito. Anche il Regno Unito ha proposto, nel tempo, alcuni modelli in gran parte rigettati dall’Ue, come la proposta di accordi miranti a rafforzare la cooperazione fra le dogane o il principio in base al quale vi sia un mutuo riconoscimento delle regolamentazioni delle due entità qualora ispirate ai medesimi risultati, difficilmente attuabile in assenza di istituzioni comuni e di organi giurisdizionali in grado di risolvere eventuali controversie.

Vi è, infine, il problema delle relazioni economico-commerciali con i paesi extra Ue, regolati oggi da una serie di accordi commerciali negoziati e conclusi dall’Ue e dagli Stati membri: con il recesso dall’Ue tali accordi si estingueranno per il Regno Unito. I primi passi diplomatici intrapresi da quest’ultimo in vista di futuri accordi con i paesi extra-Ue non sembrano aver avuto risultati positivi. In conclusione, è chiaro che la sola individuazione del possibile modello giuridico delle relazioni economico-commerciali Eu-Regno Unito dopo la Brexit si rivela compito complicato; si può immaginare quanto sarà difficile, una volta trovato, negoziare i termini tecnico-giuridici e, soprattutto, renderli operativi in pratica.
 

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