OPINIONI |

Impresa sociale, l'arma in più contro la recessione

PUò ASSORBIRE MANODOPERA DISOCCUPATA E COSTITUIRE UN PONTE CON LA FINANZA, GRAZIE A UN NUOVO PRIVATE EQUITY

di Giorgio Fiorentini

L’impresa sociale non profit potrebbe essere un ammortizzatore sociale per smorzare i potenziali conflitti e le tensioni sociali scaturite dallo stato di crisi economica. Non rientra fra quelli regolati per legge, ma può attenuare la crescita della disoccupazione e il ristagno dei consumi in una logica di solidarietà che si concretizza in una formula imprenditoriale attiva nel contesto socio economico. E’ un modo nuovo di integrare l’economia e il sociale, ha un alto livello di economicità e può produrre e vendere beni e servizi a prezzi più bassi.

La motivazione a una maggiore produttività e a un’efficacia operativa più gestibile è una costante dei dipendenti di queste imprese. Si tratta infatti di un’impresa partecipata. I costi generali e fissi sono contenuti e il break even si realizza con quantità di produzione inferiore rispetto all’impresa for profit. Tale impresa ha poi una propensione a mantenere i consumi a livelli equilibrati per il sistema socio economico. Inoltre, i prezzi di vendita sono più bassi, migliorando quindi il potere d’acquisto delle famiglie. Infine, l’impresa sociale è un’azienda che non ha scopo di lucro e che può gestire gli eventuali utili reinvestendoli nell’impresa stessa incrementando il suo stato patrimoniale. A questo proposito, si potrebbe ipotizzare che dopo un lock-up, presumibilmente 3-5 anni, si possano attivare azioni di contendibilità. La normativa in proposito, infatti, non esclude che possa essere stabilito un prezzo di vendita per questo tipo di aziende.

E questo potrebbe avvenire facendo assumere all’impresa sociale la veste giuridica di spa o srl senza scopo di lucro o ipotizzando la costituzione di una spa che crei al suo interno un patrimonio separato da destinare a finanziare le imprese sociali.

In aggiunta, l’azienda non profit può diventare un motore potente di promozione delle fasce più deboli della popolazione, fra le quali la più importante è sicuramente quella dei disoccupati: il tessuto normativo che sottintende la creazione di imprese sociali stabilisce infatti che, per essere qualificate come imprese sociali, queste abbiano il fine dell’inserimento di ‘lavoratori svantaggiati’. Da tutto ciò si evince dunque come il non profit ‘produttivo’, possa davvero essere un ammortizzatore sociale che può rispondere alla crisi dell’oggi per costruire il futuro del dopo crisi. E può anche essere anello di congiunzione fra capitale privato e imprenditorialità sociale: si potrebbe pensare, per esempio, a un fondo di private equity in cui il 90% sia investito in comuni investimenti finanziari e il restante 10% in imprese sociali. Ci sono tutte le condizioni per accettare la sfida.

Il nostro paese dovrà uscire dalla condizione attuale con una cifra competitiva che si basa su formule imprenditoriali equilibrate evitando parossismi di gestione. Sviluppando capitale umano e sociale disponibile a cogliere le opportunità senza cadere nell’opportunismo speculativo e ‘senza freni’, di cui stiamo pagando oggi le conseguenze. Non solo nuovi stili di consumo, ma anche nuovi stili di imprenditorialità e di management. Un management altruistico a gerarchia corta e partecipata.

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