E adesso come la mettiamo con il diritto di residenza?
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E adesso come la mettiamo con il diritto di residenza?

LA DOMANDA RIGUARDA TANTO I CITTADINI DEL REGNO UNITO CHE VIVONO IN UN PAESE EUROPEO QUANTO GLI EUROPEI CHE VIVONO A LONDRA E DINTORNI. PERCHE' IL PROBLEMA E' SE SODDISFANO LE CONDIZIONI RICHIESTE

di Eleanor Spaventa, full professor presso il Dipartmento di studi giuridici

Il processo per la Brexit è lungo e tortuoso. Uno dei nodi da sciogliere prima che i negoziati potessero procedere alla fase successiva, quella delle trattative per il futuro trattato fra Regno Unito e Unione europea, riguardava il trattamento dei cittadini dei 27 stati membri che abitano nel Regno Unito e il trattamento dei cittadini britannici residenti nel resto dell’Europa. Questi cittadini, da un giorno all’altro, si sono ritrovati in uno stato di grande incertezza rispetto al loro futuro, giacché il loro titolo per vivere nel paese ospitante dipende dal diritto europeo, diritto che non si applicherà più al Regno Unito, o ai suoi cittadini, a partire dal 1 gennaio 2021.
È bene ricordare che tutti i cittadini dell’Unione europea godono di importanti diritti, tra i quali il diritto alla libera circolazione, il diritto di scegliere dove risiedere, di essere trattati alla stregua dei cittadini dello stato ospitante, anche in relazione al welfare, e il diritto al ricongiungimento famigliare, anche in relazione a famigliari extra-comunitari.

Questi diritti non sono però assoluti: dipendono dal fatto che il migrante europeo eserciti un’attività economica come lavoratore subordinato o autonomo; oppure, che abbia l’assicurazione sanitaria e risorse economiche sufficienti a non divenire un onere a carico del sistema sociale del paese ospitante. Il progetto di accordo Gb/Ue sui diritti dei cittadini riconosce continuità dei diritti per coloro che si sono ritrovati, loro malgrado, nel mezzo della tempesta Brexit. Però questi diritti sono riconosciuti solo a coloro che soddisfano le sopracitate condizioni previste dal diritto Ue, per ottenere la residenza in uno stato ospite.
Il problema sollevato dal processo Brexit non sta tanto nell’assicurare la permanenza dei diritti di quei cittadini che si sono spostati prima di Brexit (che è stato fatto), ma piuttosto nel fatto che una parte di questi cittadini non ha i requisiti, soprattutto concernenti l’assicurazione sanitaria, richiesti dal diritto europeo per poter ottenere il diritto di residenza nello stato ospitante.

E qui è il paradosso dell’Unione europea: questi cittadini spesso sono del tutto ignari dell’esistenza di queste condizioni alla residenza (soprattutto nel Regno Unito), giacché hanno creduto alla retorica sbandierata dalle istituzioni europee, della cittadinanza europea come status fondamentale che consente a tutti di scegliere il paese dove risiedere. E sono questi cittadini che saranno a rischio di vedersi negata la possibilità di continuare a vivere nello stato dove erano al momento di Brexit, e dove potrebbero anche aver vissuto molto a lungo.

Particolarmente a rischio da questo punto di vista sono le donne giacché, statisticamente, più spesso escono dal mercato del lavoro per prendersi cura di bambini, disabili e anziani. E uscendo dal mondo del lavoro perdono la protezione del diritto europeo a meno che non abbiano contratto un’assicurazione sanitaria privata, e ciò non accade molto spesso. Questo rimane dunque un nodo fondamentale da affrontare per far sì che Brexit non abbia effetti collaterali sulla vita di cittadini che, in buona fede, si sono trasferiti in un altro paese, dove si sono costruiti una vita e affetti.
 
 

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