Chi salvera' la Terra malata
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Chi salvera' la Terra malata

LA QUESTIONE AMBIENTALE STA SPARENDO DALL'AGENDA DELLA POLITICA INTERNAZIONALE PER FAR SEMPRE PIU' CAPOLINO IN QUELLA DELLE IMPRESE IMPEGNATE NEL TROVARE SOLUZIONI LOW CARBON

di Stefano Pogutz, ricercatore presso il Dipartimento di management e tecnologia

A fine febbraio, mentre l’Europa era nella morsa di Buran, l’Artico e la Groenlandia attraversavano una delle fasi più calde della storia recente, con temperature anche più alte di quelle registrate in città come Zurigo o Londra. Queste condizioni anomale hanno portato numerosi climatologi a lanciare un nuovo allarme sull’accelerazione del cambiamento climatico.
La concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha raggiunto i 407 ppm. I dati segnalano che le emissioni sono tornate a crescere a livello globale dopo un paio di anni di apparente stabilizzazione, minacciando la nostra capacità di mantenere l’aumento della temperatura nel target di 1,5°-2° C, valore obiettivo dell’accordo di Parigi. Nonostante ciò, sembra che la questione ambientale sia scomparsa dall’agenda politica internazionale. La deriva americana, sotto la guida di Trump, appare evidente. La stessa Unione Europea, che per anni ha guidato la transizione verso un’economia low-carbon con politiche ambiziose e innovative, sembra avere perso smalto per quanto concerne la leadership sul clima.   
In questo scenario preoccupante, attori che hanno assunto un ruolo nuovo e propositivo sono le imprese. Questo attivismo si ricollega a diversi fattori tra cui la gestione dei rischi climatici e le opportunità di business legate alla sostenibilità.
 
L’impatto del meteo sulle aziende
Nel Global risks report 2018, il World economic forum evidenzia come la questione climatica sia negli anni diventata uno dei fattori di rischio più critici per probabilità ed entità degli impatti sul sistema economico-sociale. Diversi settori industriali, dall’agro-alimentare all’energia, sono esposti a fenomeni meteorologici estremi (siccità e uragani) che limitano la disponibilità delle materie prime, ne modificano la qualità e incidono sulla volatilità dei prezzi.
Come conseguenza, da qualche anni alcuni investitori hanno iniziato a spingere verso la decarbonizzazione dell’economia. Per esempio la Portfolio decarbonization coalition include diversi asset owner che si impegnano a liberare risorse da investimenti carbon-intensive per riorientarle verso tecnologie più pulite. Unfriend coal, una ricerca pubblicata nel novembre 2017, segnala che un numero crescente di società di assicurazione europee (tra queste Allianz, Zurich e Generali) negli ultimi due anni ha disinvestito oltre 20 miliardi dal carbone.
L’effetto è una crescente richiesta di trasparenza (disclosure) sulle informazioni legate alla gestione dei rischi climatici e sulle emissioni di gas serra. Standard per la rendicontazione di queste informazioni, come quello promosso da Cdp (ex Carbon disclosure project), sono oggi diventati di fatto necessari per le aziende quotate sui principali mercati internazionali.
 
Dove arriva la scienza
Un’altra iniziativa interessante ha per oggetto la definizione di science-based target a livello di impresa. Di che si tratta? Una delle regole del management ci dice che i processi possono essere gestiti con efficacia solo se vengono definiti obiettivi chiari e misurati i risultati. Anche nel caso del clima e delle emissioni di CO2 le imprese hanno iniziato a fissare obiettivi di medio e lungo periodo a cui associare le strategie di mitigazione degli impatti o le azioni di adattamento per contenere i rischi. L’iniziativa science-based target è promossa da un’organizzazione che vede la partecipazione di Un Global Compact, Cdp, Wwf e World resource institute. L’idea è spingere le imprese ad adottare obiettivi di decarbonizzazione a livello aziendale in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Sono 355 le aziende coinvolte, tra cui realtà come Enel, Nike, Toyota, Nestlé o Unilever.
Disclosure e obiettivi scientifici offrono risposte apprezzabili, ma quali azioni concrete vengono realizzate per contrastare il cambiamento climatico? Il mondo delle imprese utilizza oltre il 50% dell’elettricità mondiale; una delle risposte più interessanti è quella proposta Re100, un network di aziende che si impegnano a soddisfare il proprio fabbisogno energetico al 100% con energia da fonti rinnovabili. A oggi, 128 multinazionali (per esempio Ikea, Google, H&M, Goldman Sachs, Walmart) hanno sottoscritto questo impegno, per un consumo di elettricità annuo pari a quello di uno stato come la Polonia o la Malesia. L’azione di queste imprese agisce sulla domanda di energia da rinnovabili, con effetto sui costi delle tecnologie low-carbon.
In un contesto in cui la comunità scientifica stenta a fare sentire la propria voce al mondo politico, l’attivismo delle imprese rappresenta un fatto importante. Anche se si tratta ancora di impegni limitati è un segnale di speranza a dimostrazione che la transizione verso un futuro più sostenibile è possibile.
 

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