Far convivere uomini e robot nella rivoluzione industriale 4.0
OPINIONI |

Far convivere uomini e robot nella rivoluzione industriale 4.0

PER DIMINUIRE LE DISUGUALIANZE E AFFRONTARE IL CAMBIAMENTO DEL MONDO DEL LAVORO PIU' CHE PENSARE AL REDDITO DI CITTADINANZA O A TASSARE L'INNOVAZIONE SERVE INVESTIRE SU FORMAZIONE, RIQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE, ASSICURAZIONE DEI SALARI E PRESTITI

di Francesco Daveri, direttore Mba Full Time di SDA Bocconi School of Management

Sta arrivando la quarta rivoluzione industriale. Si tratta di applicazioni dell’intelligenza artificiale e della robotica che mettono in dubbio le tradizionali linee di confine fisiche, digitali e biologiche tra uomo e macchina. Grazie alle nuove tecnologie, la vita quotidiana di tutti viene resa più semplice. Si può chiamare un taxi, prenotare un volo, comprare un prodotto, fare un pagamento, ascoltare la musica in remoto, ottenendo un servizio personalizzato. Ma i benefici di tutto ciò rischiano di essere concentrati nelle mani di pochi: innovatori, azionisti, investitori. E anche il mercato del lavoro potrebbe essere diviso in due segmenti, forse non comunicanti. Da un lato, i precari: lavoratori intrappolati in lavori con basse qualifiche e bassi stipendi. Dall’altro lato, i privilegiati, beneficiati da lavori con qualifiche elevate e stipendi corrispondentemente elevati.
Secondo il premio Nobel Michael Spence e l’ex capo economista di Barack Obama Laura Tyson, il rischio concreto è che la quarta rivoluzione industriale accoppiata con la globalizzazione metta il turbo a disuguaglianze già molto elevate.

La concorrenza sui mercati digitali premia il più bravo nel fornire un servizio molto più che in passato e ciò si traduce in un netto aumento della concentrazione industriale settore per settore. Ma l’aumento delle disuguaglianze si alimenta in modo cruciale della globalizzazione. Le aziende vincenti sono quelle che hanno perfezionato i modi di delocalizzare, monitorare e coordinare la produzione in varie parti del mondo così da ridurre i costi del lavoro, gestionali e di approvvigionamento delle materie prime. Rischia di spezzarsi il processo di distruzione creativa tipico delle rivoluzioni tecnologiche precedenti: la creazione dei nuovi posti di lavoro che rimpiazzino quelli cancellati stavolta tarda o rischia di avvenire in altri paesi, demograficamente o istituzionalmente meglio posizionati.
In uno studio pubblicato nel gennaio 2017, il McKinsey Global Institute ha analizzato gli effetti dell’automazione sul lavoro per 46 paesi e per lavori che coprono l’80 per cento della forza lavoro globale. La ricerca si è servita di una rigorosa metodologia di stima del potenziale di automazione dei lavori sulla base delle tecnologie già oggi conosciute (dunque senza fare congetture difficili da giustificare sui futuri trend tecnologici). Un primo risultato dello studio McKinsey è che la frazione dei lavori interamente automatizzabili sarebbe solo una piccola parte del totale: meno del 5 per cento. Lo studio però contiene anche un secondo risultato, molto meno rassicurante: secondo i calcoli della società di consulenza, il 60 per cento delle occupazioni è costituito da attività che sarebbero almeno parzialmente automatizzabili (per il 30 per cento o più).

Nello specifico, sarà più facile affidare a una macchina attività ripetitive e operative che avvengono in contesti caratterizzati da limitata incertezza. Esempi? I servizi di accoglienza, la raccolta di prodotti agricoli, le attività manifatturiere in generale, ma anche le attività di back-office nel commercio al dettaglio e all’ingrosso. Sarà invece più complicato automatizzare attività che richiedono interazione umana e sociale come i servizi di assistenza sanitaria, di istruzione, il management e altre professioni che comportano una sofisticata elaborazione delle informazioni. Tra queste, la politica.
Non è dunque strano che si discuta su cosa fare per attenuare il probabile impatto negativo dell’automazione sul lavoro. Bill Gates ha proposto di tassare i robot. Una proposta suicida per un paese cronicamente arretrato nell’innovazione tecnologica come l’Italia. Il reddito di cittadinanza - una misura con elevati costi per il bilancio pubblico - sarebbe un’assicurazione sociale anche contro gli effetti incerti dell’automazione. Forse più praticabili sono misure attive di prevenzione o compensazione, come programmi di formazione permanente, prestiti a lungo termine a fini di riqualificazione professionale e programmi di assicurazione sui salari.  In ogni caso, invece di tassare l’innovazione o trasformarci in un mondo di persone che vivono di sussidi, sarà molto meglio aiutare i lavoratori a rimanere tali insieme con i robot.
 

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