Le business school imparino da Netflix
OPINIONI |

Le business school imparino da Netflix

VARIETA' E PERSONALIZZAZIONE LE CARATTERISTICHE VINCENTI NEL MONDO DELL'EXECUTIVE EDUCATION

di Gabriele Troilo, associate dean Open market and new business division SDA Bocconi School of Management

Gli ultimi vent’anni ci hanno posti di fronte a una trasformazione radicale di tutti i settori di produzione e distribuzione di contenuti. A iniziare dall’editoria libraria e dalla discografia, per passare all’editoria dei quotidiani e dalla cinematografia, fino ai videogiochi e alla pubblicità, la digitalizzazione dei contenuti ha portato a un processo di disintermediazione della relazione fra produttori e consumatori. Questo processo è stato guidato da nuovi attori che, gestendo piattaforme di relazione fra produttori e consumatori, sono diventati i veri dominatori dei settori, innovando non solo nei prodotti e nei servizi ma soprattutto nei modelli di business adottati. Non a caso oggi si parla sempre di più di platform competition e business model innovation.
Rispetto ai settori citati sopra, il settore della formazione manageriale non sembra essere stato ancora toccato in maniera sostanziale dal processo di trasformazione digitale, ma alcuni segnali sembrano dimostrare che il tempo è arrivato. In maniera del tutto similare agli altri settori di contenuto, infatti, i due fenomeni caratterizzanti la trasformazione si stanno manifestando anche nel settore della formazione, con impatto e velocità impressionanti.
Il successo di piattaforme come Coursera, EDX o Udacity dimostrano che anche la formazione può essere disintermediata in maniera efficace. Coursera è un esempio che vale per tutti. Fondata nel 2012 da professori della Stanford University, oggi connette più di 25 milioni di utenti nel mondo alla sua piattaforma di più di 2000 corsi su materie le più disparate, offerti da circa 150 prestigiose università e business school del mondo (fra cui anche la nostra Università). Interessante anche l’evoluzione del suo modello di business. Nata per erogare solo Mooc (Massive open online courses, quindi corsi sostanzialmente gratuiti), oggi offre molti corsi a pagamento con un modello che va dall’abbonamento mensile al pagamento del singolo corso/specializzazione, a un prezzo che va dai 15 ai 25.000 dollari statunitensi.

Coursera è anche l’esempio di un nuovo attore entrato nel settore recentemente, con logiche competitive del tutto diverse dagli attori tradizionali, cioè le università e le business school. Ma insieme ai gestori di piattaforme, sono entrati nel settore della formazione manageriale attori finora operanti in settori diversi, per quanto in qualche modo correlati. Ad esempio LinkedIn ha iniziato a offrire corsi online. E lo stesso ha iniziato a fare McKinsey, come anche altre società di consulenza specializzate come Ideo.
Insomma, appare evidente che il fenomeno di trasformazione radicale suscitato dalle tecnologie digitali stia caratterizzando anche il settore della formazione, con una velocità simile a quella di altri settori di contenuti. In quanto tempo e con quale impatto è difficile dire, ma quello che sicuramente non è difficile dire, avendo osservato e imparato dalle dinamiche degli altri settori, è che non si può stare ad osservare che la trasformazione accada, lasciando che gli altri decidano le regole del gioco. Pena, la non sopravvivenza.
Se non si devono accettare pedissequamente le regole del gioco stabilite da altri, certo dagli altri si può imparare, e molto. Sono due gli attori che, dal mio punto di vista, possono fornire a chi opera nel settore della formazione – e in particolare in quella manageriale – degli stimoli sui processi di trasformazione da attivare: Netflix e Spotify. Entrambi sono esemplificazioni di due fattori critici di successo per operare nei settori dei contenuti: la varietà e la personalizzazione.
Sia Netflix che Spotify rappresentano dei grandi contenitori di contenuti, dove un consumatore può accedere e personalizzare la propria esperienza, in funzione delle proprie necessità e dei propri gusti. Su Netflix e Spotify si possono trovare film e musica per tutti i gusti, e si possono comporre in una varietà di combinazioni in funzione delle proprie necessità (e dei propri mood). Le università, e ancor più le business school, dovrebbero prendere a modello Netflix e Spotify.

Si potrebbe obiettare che le business school già offrono portafogli di corsi molto vari e indirizzati a esigenze di popolazioni a vari stadi del loro progresso formativo e di carriera. Però, a pensarci bene, il formato offerto è molto standard: un corso erogato in una classe in cui tutto (o quasi) è predefinito dal docente o comunque dall’organizzazione: contenuti, tempi, modalità, tipologie e tempi di valutazione dell’apprendimento e così tanto altro, secondo una struttura molto rigida. La varietà implica non solo (e non tanto, mi verrebbe da dire) la varietà dei contenuti, ma dei formati con cui questi contenuti vengono veicolati. Inoltre, personalizzazione significa mettere chi fruisce al centro, delegandole/gli una parte delle decisioni relative a come comporsi il pacchetto di esperienze da fare, ai tempi e ai modi di fruizione fino ad arrivare a una delega anche delle modalità di valutazione dell’apprendimento. Ripensare la formazione in questo modo implica un ripensamento radicale del ruolo dei docenti e delle istituzioni che producono contenuti formativi. Ai docenti verrà richiesto sempre più di giocare un ruolo da progettisti di esperienze formative, affiancati da attori nuovi, esperti di tecnologie per la didattica, e meno da performer, com’è nella tradizione della professione. Alle istituzioni toccherà invece pensarsi sempre più come organizzazioni creative che producono contenuti e che li veicolano attraverso formati e canali tipici del mondo digitale.

Un cambiamento faticoso ma eccitante, denso di difficoltà e di opportunità per chi vorrà coglierle.

Per approfondire
Imparare? Un’esperienza aumentata
Quando la tecnologia non basta
Come la vedono gli studenti
Se l’apprendimento è un gioco

 

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