Costituzione, settanta anni e non sentirli
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Costituzione, settanta anni e non sentirli

NEL TUTELARE I DIRITTI INVIOLABILI DELL'UOMO IL COSTITUENTE HA FORMULATO L'ARTICOLO 2 IN MODO DA GARANTIRGLI LONGEVITA' INDIPENDENTEMENTE DAI PROGRESSI SOCIALI, SCIENTIFICI E TECNOLOGICI

di Arianna Vedaschi, professore di diritto costituzionale

Le accelerazioni del vivere sociale, anche dovute ai progressi scientifici e tecnologici, si sono spesso tradotte nella domanda di nuovi diritti, che si sono spinti a toccare le corde dell’etica. Orbene, la nostra Costituzione, che ha da pochi mesi superato i 70 anni, offre interessanti margini di longevità, finanche nella sua parte immodificabile. Si pensi all’art. 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]». Qui il principio personalista, che si intreccia con quelli pluralistico e solidaristico (nella parte omessa), diventa pietra angolare del nostro testo fondamentale. L’indiscussa primazia dell’uomo sullo Stato relega quest’ultimo in una posizione servente al primo, il che riflette il fine ultimo del costituzionalismo. L’inviolabilità dei diritti limita l’esercizio del pubblico potere.

Ma di quali diritti si parla? Larga parte della dottrina considera l’art. 2 una clausola aperta, in quanto sarebbe capace di offrire copertura costituzionale a nuove posizione giuridiche soggettive, cioè a diritti inediti, non espressamente elencati dal catalogo costituzionale, fissato dagli artt. 13 e seguenti. D’altra parte, anche la dottrina che ritiene l’art. 2 una fattispecie chiusa, ossia riassuntiva dei diritti enunciati dal testo fondamentale, non sostiene affatto la «pietrificazione del catalogo dei diritti costituzionali», quanto piuttosto che di essi debba darsi una lettura aggiornata, nel rispetto però dell’articolato costituzionale (Pace, 2003). Posizione intermedia è poi assunta da chi ritiene che l’interpretazione in combinato disposto dell’art. 2 e di altre specifiche disposizioni costituzionali possa garantire riconoscimento a istanze individuali e sociali «in cerca di tutela». In definitiva, al di là delle posizioni ideologiche di partenza e a prescindere dal percorso metodologico seguito, la maggioranza della dottrina concorda, se non nel riconoscere nuovi diritti, quantomeno nell’ammettere l’emersione di inedite dimensioni delle libertà tradizionali in cerca di protezione costituzionale.

Invero, anche la Corte costituzionale sembra giunta alla stessa conclusione. Nella prima fase della sua giurisprudenza il giudice delle leggi propone un orientamento restrittivo, nel richiamare l’art. 2 Cost. come una clausola chiusa, cioè di mero rinvio a posizioni giuridiche soggettive codificate altrove. Nella seconda metà degli anni Ottanta il rigore interpretativo viene però smorzato e, parallelamente, le argomentazioni della Consulta cessano di insistere sulla mera funzione riepilogativa dell’art. 2. Il cambio di approccio trova altresì riscontro nelle parole dell’allora Presidente Saja, che - nella relazione annuale del 1988 - enfatizza l’attenzione assicurata dai giudici costituzionali alla trasformazione del costume sociale, sottesa all’interpretazione espansiva delle norme costituzionali, sempre più di frequente lette in combinato disposto con l’art. 2, allo scopo di trovare un fondamento costituzionale se non a nuovi diritti quantomeno a inedite dimensioni di vecchi diritti. Emblematico è il revirement della Corte costituzionale sulla questione del cambio di sesso. Il diritto all’identità sessuale, non espressamente codificato dal nostro testo fondamentale, viene dalla Corte ricondotto all’art. 32 Cost., che tutela la salute dell’individuo non solo nella sua dimensione fisica, ma anche in quella psicologica. Nel sostenere la rilevanza terapeutica della metamorfosi sessuale degli individui che vivono un disagio psichico, perché sentono di appartenere a un genere diverso da quello anagrafico, la Corte riconosce e garantisce il diritto in questione come essenziale al pieno e libero sviluppo della persona. Negli ultimi decenni, il trend viene confermato: la giurisprudenza della Corte sembra maggiormente attenta ai progressi della scienza e sensibile alle evoluzioni del costume sociale. Basti menzionare le sentenze in cui la Corte riconduce alle formazioni sociali l’unione omosessuale o dichiara l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa, richiamando l’art. 2 in combinato disposto con gli artt. 3 e 31 per definire la scelta di diventare genitori come fondamentale libertà di autodeterminazione.

Al di là degli sforzi giurisprudenziali, va detto che spetta al Legislatore ordinario non solo e forse non tanto riconoscere nuovi diritti (che devono sempre bilanciarsi con quelli esistenti e comportano, peraltro, la responsabilità del loro esercizio, nonché la nascita di corrispondenti doveri), quanto piuttosto garantire la più ampia tutela di quelli inviolabili, cioè strettamente legati, anzi inerenti, alla dignità dell’uomo. È questa l’impegnativa e al tempo stesso stimolante missione lasciata dal Costituente.
 

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