Donne in cerca di identita' (e leadership)
OPINIONI |

Donne in cerca di identita' (e leadership)

NON OMOLOGARSI AL GRUPPO DOMINANTE E PORTARE NELLE ORGANIZZAZIONI LE PROPRIE COMPETENZE IDENTITARIE. ESSERE LEADER E DONNA OGGI SIGNIFICA QUESTO

di Simona Cuomo, SDA professor di leadership, organization and human resources

L’identità femminile, per ragioni storico - culturali, è stata ed è oggetto di stigma. E la discriminazione nei confronti dei gruppi sociali di minoranza (donne, stranieri, omosessuali, giovani e anziani, malati e disabili) fanno parte del panorama delle organizzazioni italiane. Come evidenziano gli studi del Diversity Management Lab di SDA Bocconi, chi ha più probabilità di essere assunto o promosso è un uomo eterosessuale, giovane, senza figli o carichi familiari e in perfette condizioni fisiche.

Queste considerazioni trovano riscontro nei risultati di molteplici statistiche, come il Global gender gap report, l’indicatore che misura l’equità di partecipazione al lavoro, alla politica, all’istruzione, alle cure mediche tra uomini e donne in 145 paesi nel mondo, che nel 2017 vede l’Italia all’82esimo posto (50esima nel 2016). In questo contesto parlare di leadership al femminile vuol dire sottolineare l’importanza del contributo che le donne possono portare in un’organizzazione attraverso la diffusione di competenze identitarie quali quelle relazionali volte all’inclusione, all’ascolto e al dialogo senza subire l’omologazione rispetto al gruppo dominante. Essere donna e diventare leader oggi vuol dire innanzitutto avere il coraggio di allontanarsi da logiche conformiste della maggioranza, alimentando un pensiero e uno stile di leadership che in quanto personale risulti anche divergente  e quindi utile a costruire scenari futuri in cui ciascun attore organizzativo assume un ruolo possibile e necessario.

Ma questa assunzione di ruolo, in accordo con la propria identità di genere, è possibile solo attraverso un percorso che parta da una ricerca interiore necessaria a risolvere conflitti emotivi, familiari e culturali, che impediscono alle donne di riconoscere prima e rivelare poi il proprio talento e il proprio stile di leadership. In generale questo potenziale del femminile essendo stigmatizzato è bloccato; di fatto le identità stigmatizzate tendono ad attivarsi in un certo contesto mascherandosi e imitando i comportamenti e i copioni della cultura dominante. Il percorso della leadership al femminile è dunque un percorso di dialogo con la propria identità ed il proprio sé; un percorso di riconoscimento e apprezzamento delle proprie differenze per poi poterle esprimere, senza vergogna e con autorevolezza. Viceversa, il femminile si camuffa da persona socialmente accettata assumendo quei comportamenti tipici e premiati dalla maggioranza e dalla cultura dominante.

Studi recenti nell’ambito della psicologia empirica dimostrano attraverso l’uso della scala M-F (mascolinità vs femminilità) come le donne abbiano nel tempo aumentato i punteggi in mascolinità rispetto ai punteggi in femminilità (Connell, 2002). Il maschile risulta dunque maggiormente apprezzato e, a riprova di ciò, quasi nessun uomo appare aver aumentato il punteggio in femminilità.  Il prezzo da pagare per essere parte del gruppo, in particolare del gruppo di potere, è la negazione prima ed il rifiuto poi di alcune parti del sé. È così che questo travestimento affatica, crea fragilità e incertezza, a tal punto da portare le donne ad abbandonare la competizione o negare l’esistenza della propria identità e quindi della propria differenza, nell’inno corale del «non siamo donne, ma persone».
 
 
 

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