Fuori in otto secondi. Un successo corale
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Fuori in otto secondi. Un successo corale

CARLO RIVETTI, BOCCONIANO E PATRON DI STONE ISLAND, SPIEGA COME HA CAMBIATO LA FILIERA CREATIVA

Non esistono confini geografici e la multiculturalità è un valore assoluto; non esistono limiti, ma sfide; non esistono rigide formalità, ma rapporti diretti. Questa è la filosofia di Carlo Rivetti, alumnus Bocconi e presidente e direttore creativo di Stone Island, il brand di moda casual, nato nell’ambito di Gft, il Gruppo finanziario tessile che negli anni 80 ha rivoluzionato il prêt-à-porter producendo le collezioni di Valentino e Armani, oltre ad aver introdotto in Italia il sistema delle taglie. Fra i due incarichi, l’imprenditore predilige il secondo. Con un ruolo unico nel suo genere, Rivetti racconta il sottile equilibrio fra business e creatività.
Stile e fatturato, come si tiene in bilico la bilancia?
Negli anni 80 non esistevano regole, la creatività era tutto. Bastava avere un’idea e si vendeva qualsiasi cosa. Da qualche anno non è più così: i consumatori si sono evoluti, conoscono le tendenze, hanno accesso a qualunque canale di acquisto internazionale, così è diventato necessario scendere in campo e rizzare le antenne, fare strategie, proporre una creatività percepibile. Per questo otto anni fa ho scelto di sostituire la figura dello stilista con un team eterogeneo di creativi, individuati per diversità di esperienza, formazione e cultura. Volevo che Stone Island fosse la voce di un coro: ognuno di loro interpreta il progetto attraverso i propri codici e restituisce un valore unico. Poi ho ingegnerizzato il sistema dell’azienda: ogni collezione nasce con un briefing che tiene conto delle scalettature di prezzo, del numero di capi per modello, delle funzioni d’uso. Questi sono i punti fermi del processo stilistico.
Come riesce a creare armonia nel team creativo?
Con il rispetto delle persone e della creatività stessa. Il work life balance è fondamentale, le idee migliori nascono in questa condizione. E poi, lavoro sulla condivisione, organizzando viaggi di gruppo in Europa laddove accadono le cose, coinvolgendoli nel confronto con Simon Foxton e Nick Griffiths, le nostre sentinelle inglesi esperte di tendenze.
I primi capi Stone Island sono stati realizzati utilizzando teloni per i camion, poi è arrivato il momento dei tessuti termosensibili. Quanto investite sulla sperimentazione dei materiali?
Il 7% del nostro giro d’affari: abbiamo una tintoria d’avanguardia dotata di ogni tecnologia. L’aspetto più entusiasmante riguarda, però, il fatto che puntando sulla ricerca si scoprono mondi inaspettati, da cui nascono sinergie straordinarie. Un esempio? Un giorno mi trovavo in un negozio di nautica e ho trovato delle cime realizzate in dyneema, un materiale leggerissimo e super resistente che solitamente viene impiegato per i cavi dei grandi ponti sospesi. Ho contattato l’azienda che aveva depositato il brevetto e con loro ho dato vita a una collezione inedita.
Quali sono i nuovi canali per vendere la creatività?
Le flash sale. In collaborazione con Supreme, lo store di street styling di New York, siamo riusciti a battere un record: vendere una capsule collection in soli otto secondi. Si trattava di Prototype Research, una linea di capi in edizione limitata, realizzati a mano e non ancora industrializzati. Questo esperimento ci ha consentito di testare i materiali e la loro industrializzazione, per poi applicarli ad altre collezioni.
Avete creato una piccola serie di oggetti del desiderio…
Assolutamente sì. Ma non è tutto, abbiamo stimolato un’economia parallela: alla vendita hanno partecipato anche alcuni nostri reseller che, nei giorni successivi, sono riusciti a rivendere i capi in negozio a cifre importanti.
 

di Allegra Gallizia

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