Il (pericoloso) gioco tra Donald Trump e Kim Jong Un
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Il (pericoloso) gioco tra Donald Trump e Kim Jong Un

IL PRESIDENTE AMERICANO HA SCELTO DI RISPONDERE ALLA MINACCIA COREANA PUNTANDO TUTTO SULLA FORZA DELLA DETERRENZA. MA UNO STUDIO DIMOSTRA CHE LE CONDIZIONI DI PARTENZA METTONO A RISCHIO IL SUO SUCCESSO

di Livio Di Lonardo, assistant professor presso il Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico

La bomba all’idrogeno fatta esplodere dalla Corea del Nord il 3 settembre è dieci volte più potente di quella lanciata su Nagasaki nel 1945. Il regime ha inoltre annunciato di essere in grado di colpire il territorio statunitense. Non è chiaro se ciò sia vero o meno, ma è chiaro che tre presidenti americani hanno tentato approcci diversi per impedire alla Corea del Nord di diventare una potenza nucleare, e tutti hanno fallito. Ancora oggi non conosciamo l’obiettivo finale del programma nucleare della Corea del Nord. Kim Jong Un ha bisogno delle armi nucleari per autodifesa e per non finire come Gheddafi, o ha intenzione di utilizzarle per modificare lo status quo nella penisola coreana? Questa incertezza sui suoi fini induce a chiedersi come gli Stati Uniti e il resto del mondo debbano affrontare la Corea del Nord in questa fase. Come possiamo impedire a Kim di utilizzare le armi appena acquisite?
Molti esperti hanno sottolineato l’importanza di coltivare relazioni diplomatiche con la Corea del Nord. Seguendo questa linea di pensiero, il segretario di stato Rex Tillerson ha recentemente intrapreso sforzi diplomatici per ridurre la tensione tra i due paesi. Tuttavia, tutto si è fermato dopo che il presidente Trump, in una mossa senza precedenti, ha esortato Tillerson a «risparmiare energie» e smettere di negoziare con Little Rocket Man, affermando che gli Stati Uniti «faranno quello che deve essere fatto»! Questa affermazione, unita alla minaccia di «distruggere completamente la Corea del Nord» se gli Stati Uniti saranno «costretti a difendersi», indica la scelta di una vecchia strategia di politica estera che in passato ha servito gli Stati Uniti relativamente bene: la deterrenza.

La logica della deterrenza, formalizzata dal Premio Nobel Thomas Shelling, è in linea di principio molto semplice. Per scoraggiare un attacco nucleare, gli Stati Uniti devono comunicare in modo credibile alla Corea del Nord che la ritorsione a tale attacco sarebbe talmente distruttiva che i costi supererebbero i benefici. Possiamo quindi fare affidamento sulla deterrenza per smussare la minaccia proveniente dalla Corea del Nord? Molti esperti non ne sono affatto convinti. Kim potrebbe essere irrazionale, o la prospettiva di una distruzione reciproca potrebbe non essere sufficiente a dissuaderlo da un attacco nucleare.
Vi è, inoltre, motivo di credere che l’efficacia della deterrenza possa essere compromessa da fattori ancora più comuni dell’irrazionalità di un leader. In uno studio condotto con Scott Tyson dell’Università del Michigan, accettiamo senza obiezioni tutte le ipotesi su cui si basa la teoria classica della deterrenza, tranne una: che il paese che stiamo cercando di scoraggiare sia un attore unitario e monolitico. Dimostriamo che quando un paese cerca di dissuaderne un altro dall’avviare o aggravare una crisi, la composizione politica interna dell’avversario è un fattore cruciale per il successo della deterrenza. Se all’interno del paese avversario coesistono fazioni diverse con opinioni di politica estera diverse, la deterrenza è destinata a fallire. Questo perché la minaccia di ritorsione può essere usata dal leader avversario per reprimere possibili disaccordi interni e minacce alla sua leadership. Inoltre, se chi vuole praticare la deterrenza non ha un quadro chiaro della stabilità politica dell’avversario e degli atteggiamenti di politica estera delle fazioni che lo compongono, la deterrenza si rivela non solo un fallimento, ma un vero e proprio autogol. Una minaccia credibile di punizione in risposta all’innesco o all’escalation di una crisi è talmente controproducente che una strategia di completa inazione porterebbe a risultati migliori.

Lo studio suggerisce cautela sulla nostra capacità di deterrenza contro la Corea del Nord, anche se crediamo che Kim sia perfettamente razionale e non disposto a condurre il suo paese alla distruzione totale. Sappiamo ben poco di quanto sia sicura la leadership di Kim Jong Un e non ci sono segni espliciti che la sua presa sul potere possa erodersi, ma questa incertezza funziona a suo favore. E il presidente Trump, minacciando «fuoco e furia come il mondo non ha mai visto», potrebbe finire per aiutare Kim.
 

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