Luca de Meo, il supermanager alternativo
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Luca de Meo, il supermanager alternativo

CEO DELL'ANNO E ADESSO ANCHE ALUMNUS BOCCONI PER IL 2017: IL PRESIDENTE DI SEAT SI RACCONTA A VIASARFATTI25

L'albo d'oro dei manager e imprenditori premiati come Alumni Bocconi si arricchisce quest'anno del nome di Luca de Meo. Al manager cinquantenne, oggi presidente di Seat, la Bocconi Alumni Association ha infatti attribuito il titolo assegnato per la prima volta nel 1988 e che premia illustri ex studenti non solo per i risultati ottenuti in ambito professionale ma anche per i valori nei quali si riconosce l'ateneo. Per questo il premio a de Meo non è solo il riconoscimento dovuto per i recenti exploit di SEAT (ritorno alla redditività, miglior utile operativo di sempre con 143 milioni di euro nel 2016, quattro nuovi modelli lanciati sul mercato, miglior marchio europeo per vendite con +13% nel 2017...), ma un tributo alla sua “capacità di creare valore, di esplorare e investire su nuovi metodi di management, alla creatività e all'approccio internazionale e globale” dimostrato in oltre 25 anni di carriera nell'automotive.

Lei non è nuovo a premi ed encomi (all'ultimo Salone di Francoforte è stato rinominato Ceo dell'anno nell'automotive)... questo di “Alunnus dell'anno” Bocconi che cos'ha di diverso?
Innazitutto non me l'aspettavo, dunque c'è un po' l'effetto sorpresa che aumenta il piacere. E poi è un premio di grande prestigio, basta scorrere l'elenco dei nomi dei premiati per comprendere quale onore sia farne parte. Ma per me è speciale anche perchè è come quando a dirti bravo è il tuo maestro. E questo giudizio vale anche più di tanti altri.

Che studente è stato?
Non un 'eccellenza devo dire la verità. C'erano delle materie che mi interessavano e nelle quali riuscivo molto bene e altre che non sopportavo e nelle quali ho fatto fatica. Alla fine mi sono laureato in economia delle aziende commerciali e sono uscito con un onesto 102.

E' vero che la sua tesi di laurea in Etica degli affari fu una delle prime sull'argomento in Italia?
Non so se esiste un archivio per poter dire che è stata la prima, ma certamente era un campo piuttosto inesplorato. E me ne accorsi quando si trattò di mettere insieme la bibliografia di riferimento. Fu così ancora per poco però, perchè da lì a poco, era il 1992, sarebbe esplosa Mani pulite e l'argomento sarebbe diventato molto attuale nelle cronache e, di conseguenza, anche in molti studi di economia. La mia non fu preveggenza, però, ma piuttosto l'effetto del desiderio di conciliare almeno nella tesi i miei interessi umanistici, in particolare di filosofia morale, con quelli economici. Un'ambizione che ho cercato di mantenere anche nei miei ruoli da manager.

Quale ritiene sia il suo maggior merito come manager negli eccezionali risultati ottenuti da Seat?
Credo che i miei punti di forza siano soprattutto tre. Il fatto di aver vissuto in oltre 12 paesi, in tre continenti, viaggiando fin da piccolo, mi ha reso un po' camaleontico, come lo Zelig di Woody Allen. Credo di avere la capacità di inserirmi rapidamente in nuove culture e sensibilità, di “mettermi nelle scarpe degli altri” e dunque di capire quello che vuole la gente e quindi i clienti. Altra qualità è che la mia testa funziona per semplificazioni, e in organizzazioni molto complesse trovare il fil rouge è fondamentale. La terza virtù che mi riconosco è sapere guardare i problemi da un punto di vista alternativo rispetto al pensiero comune. La maggior parte delle volte sbaglio, e passo per un eccentrico, ma quando l'intuizione è giusta questa prospettiva diversa fa la differenza e dà un grande vantaggio sugli altri.

Qual è stata, al contrario, l'inerzia più difficile da vincere per cambiare rotta alla storia di Seat?
Qui l'obiettivo è fare chiarezza sul ruolo che ricopriamo nel mercato: siamo la marca più giovane in Europa, quella che porta più clienti giovani al gruppo Volkswagen. Ma soprattutto siamo una marca del Sud e nel gruppo rappresentiamo la porta aperta verso il Sud d'Europa. Capire qual è il nostro ruolo è quello che ha cambiato non solo le performance sul mercato ma la mentalità all'interno dell'azienda. Io lo vedo anche nei corridoi, tra i collaboratori, o in fabbrica. Perchè un conto è lottare per difendere lo 0-0, un altro giocare per vincere.

Con il marchio “Created in Barcellona” lei ha rivitalizzato il brand e ha ulteriormente radicato Seat in Catalogna. Come vive dal suo punto di vista questo momento storico?
All'interno di una galassia come quella di Volkswagen ogni brand è un pianeta che mantiene una sua forte identità. È così per noi, ma lo stesso si potrebbe dire di Bentley o Lamborghini. Le strategie del gruppo favoriscono la convergenza delle periferie verso il centro ma senza chiedere sacrifici in termini di identità. Noi pure siamo radicati in Catalogna, ma siamo internazionali e esportiamo oltre l'80% della produzione al di fuori della Spagna. Detto questo ogni azienda ha bisogno di stabilità e di certezze per pianificare il futuro e la stabilità politica è il classico fattore esogeno che può turbare il lavoro di un'azienda. Per ora però non abbiamo avuto alcun impatto a livello operativo dalla situazione politica e non c'è alcun intenzione di interrompere questo legame col territorio; anzi, io penso che faccia parte della vita adattarsi alle situazioni che cambiano. Oltre tutto siamo una realtà industriale, con tre stabilimenti, non un'istituzione finanziaria con qualche ufficio; spostarsi sarebbe anche molto complicato.

A che punto del suo percorso professionale si considera? Guarda più spesso indietro o verso prossime sfide?
Ho sempre voluto fare questo lavoro fin da studente e ho raggiunto questo desiderio molto presto, quando mi hanno dato la responsabilità del business di Fiat Auto. Da quel momento in poi ho cercato solo le occasioni migliori per sviluppare i progetti che mi interessavano. Qui in SEAT c'è ancora molto lavoro da fare e soprattutto in questi mesi abbiamo messo molti piatti nel forno e mi piacerebbe essere qui anche nel momento in cui escono dalla cucina, vengono serviti e scopriamo se piacciono o meno, una cosa che mi è capitata poco in passato perchè ogni tre anni mediamente ho cambiato incarico e nel momento di raccogliere i frutti del lavoro spesso ero già da un'altra parte. Ora invece vorrei avere il tempo di consolidare il lavoro fatto. Anche perchè nel mio ruolo di presidente si può lasciare un segno strutturale, nel lungo periodo e SEAT ha la dimensione giusta per lavorare in profondità. Qui davvero ho la sensazione di fare la differenza, e questa è la cosa più appagante.

di Emanuele Elli

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