Il vero ostacolo al circolo virtuoso tra crescita e fiducia
OPINIONI |

Il vero ostacolo al circolo virtuoso tra crescita e fiducia

A FERMARE LA RIPRESA NELL'EUROZONA POTREBBE ESSERE LA POLITICA E IN PARTICOLARE LE SCELTE DELLA BCE SULL'ACQUISTO DEI TITOLI

di Francesco Daveri, direttore Mba SDA Bocconi School of Management

Con la crisi dell’euro dell’estate 2011, tra le grandi aree del mondo, l’Europa è diventata per qualche anno un problema per l’assenza di crescita e i rischi di instabilità economica. Quando nel 2012 nel resto del mondo si cresceva del 4,4 per cento, il pil dell’Eurozona diminuiva quasi dell’uno per cento. E la crisi economica era particolarmente insidiosa perché coglieva impreparata un’unione monetaria che, allora come oggi, non si era dotata di strumenti europei di pronto intervento e, più in generale, di monitoraggio e gestione del bilancio pubblici idonei a fronteggiare gravi episodi di crisi come quello dell’estate 2011 o del 2008-09.
 
Famiglie e imprese guardano al futuro
A distanza di sei anni da quell’estate terribile molte nubi si sono dissipate. L’Europa, in particolare l’Eurozona, non è più una fonte di preoccupazione ma viceversa comincia a porsi agli occhi degli investitori e dei suoi cittadini come parte della soluzione dei problemi dell’economia mondiale. C’è il ritorno della crescita economica, con una ripresa in atto da 17 trimestri consecutivi, in via di rafforzamento negli ultimi mesi e ora stabilmente sopra al 2 per cento su base annua.
La ripresa è arrivata al mercato del lavoro con una netta riduzione del numero dei disoccupati (erano 26,5 milioni a metà 2013, sono meno di 15 milioni a metà 2017) e della loro percentuale sul totale della forza lavoro, ora al 9 per cento, dopo aver raggiunto il 13 per cento nel momento peggiore della crisi. E non sarebbe crescita se non ci fosse anche una ripresa dei consumi, condensata nell’aumento rispettivo del 6 e dell’8 per cento delle vendite al dettaglio in valore e in volume rispetto al primo semestre 2013. In parallelo, il recupero dei consumi si è in parte tradotto in un ritorno della produzione industriale che mostra un guadagno del 5 per cento rispetto ai minimi di inizio 2013.
Con il ritorno della crescita si assiste anche al ritorno della fiducia delle famiglie e delle imprese nel loro futuro specifico e in quello dei paesi di cui fanno parte. E ciò avviene anche nei luoghi più duramente colpiti dalla crisi degli ultimi anni come Italia, Portogallo e Grecia.
A sua volta il ritorno della fiducia non è solo positivo di per sé e per la coesione sociale ma alimenta anche la possibilità delle persone di comperarsi una casa o un’automobile e la volontà delle coppie giovani di mettere su famiglia con minori preoccupazioni. Insomma, il ritorno della fiducia contribuisce a sua volta a rendere la ripresa più sostenibile.
 
Il ruolo della Germania
È però altrettanto chiaro che molto rimane da fare per rafforzare ulteriormente i progressi conseguiti finora. Grazie alla ripresa, il pil dell’Eurozona ha recuperato già a metà 2015 i livelli raggiunti a fine 2008. Ma la disoccupazione al 9 per cento rimane superiore di un punto e mezzo rispetto ai livelli pre-crisi, specialmente per i più giovani.
Il recupero della produzione industriale risente in positivo dei significativi processi di re-shoring della produzione oggi in corso, ma tale processo ha riguardato solo alcuni macro settori (soprattutto quelli che producono beni non durevoli e l’automobilistico) mentre la produzione dei prodotti energetici e dei beni di consumo durevoli diversi dall’automotive langue lontana da livelli pre-crisi che probabilmente non torneranno mai. Nessuna ripresa per quanto persistente può infatti cancellare i duraturi effetti delle delocalizzazioni produttive verso i paesi emergenti asiatici (caratterizzati da bassi costi di produzione e favorevoli trend demografici) degli ultimi 20 anni.
Ma è dalla politica che arrivano le minacce principali alla prosecuzione della ripresa europea. A pesare, più ancora delle scadenze elettorali (dopo la Germania a fine settembre, nei primi mesi del 2018 in Italia), è il rischio di una prematura o disordinata conclusione delle politiche di acquisto di titoli da parte della Bce. Se ciò avvenisse, l’Europa si priverebbe delle uniche politiche che in questi anni hanno ridato fiducia e mostrato come l’unione  monetaria non sia solo una gabbia di tetti fiscali da non superare.
A spingere per una rapida conclusione sono le pulsioni poco motivate, se non del tutto miopi, provenienti dall’elettorato e dalla giustizia costituzionale tedesca. Per la continuazione della ripresa c’è solo da augurarsi che le tensioni geopolitiche di questi mesi e il repentino rafforzamento dell’euro riportino la Germania a più miti consigli, preservando il consenso che serve per calibrare con misura e determinazione la prosecuzione delle politiche attuate finora dall’istituto di Francoforte.

Per approfondire
Alla ricerca dell’idea d’Europa
L’agenda dell’integrazione che verrà
Terrorismo, il conflitto delle norme
I deficit del piano per i Neet
Debito pubblico, la lezione greca
I giudici dell’euro web
Se l’unione monetaria è meglio
La pressione fiscale non ha colore
 

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