Non e' tutto oro quel che luccica. Il lato oscuro di bitcoin
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Non e' tutto oro quel che luccica. Il lato oscuro di bitcoin

IL VALORE DELLA PIU' FAMOSA DELLE CRIPTOVALUTE E' IN ASCESA TANTO DA ESSERE UN BUON INVESTIMENTO. MA IL SUO PRINCIPALE USO RESTA L'ATTIVITA' ILLEGALE

di Luca Fantacci, docente presso il Dipartimento di analisi ddelle politiche e management pubblico

Bitcoin è tornato alla ribalta. Nei primi otto mesi del 2017 il suo valore è più che quadruplicato: partito intorno ai 1.000 dollari a gennaio è arrivato a superare i 4.500 a fine agosto. Nella corsa al rialzo, ha superato di slancio il prezzo di un’oncia d’oro. È sembrata la consacrazione per un oggetto che, sin dalla sua invenzione nel 2009, è stato presentato come l’oro digitale. E non senza motivo. Come l’oro, bitcoin è disponibile in quantità limitata: a differenza delle monete tradizionali, la sua emissione non è decisa dalle banche, ma programmata da un algoritmo. Proprio la scarsità dell’offerta, a fronte di una domanda crescente, ha spinto in alto il prezzo, facendo di bitcoin uno degli investimenti più redditizi in questi tempi di stagnazione produttiva. In effetti, sempre più spesso bitcoin è assimilato a una società per azioni, di cui misurare la capitalizzazione (che ha superato 70 miliardi di dollari, più di qualunque società quotata a Piazza Affari), analizzare l’andamento delle quotazioni sul mercato e calcolare il rendimento (+450% in un anno a fine agosto 2017).
Tanto che, sulla scia di bitcoin, si è assistito negli ultimi mesi a una proliferazione di Ico, Initial coin offerings, offerte pubbliche di nuove criptovalute, che hanno raccolto cifre astronomiche in tempi record (ad agosto, Filecoin ha raccolto 200 milioni di dollari in 60 minuti): forme snelle di quotazioni, fuori dal controllo delle autorità, che lasciano spazio a euforie ingiustificate e vere e proprie truffe. Analisti e autorevoli commentatori si sono esercitati in tentativi di distinguere fra buoni e cattivi investimenti in criptovalute sulla base dei fondamentali.

Le spiegazioni del rialzo dei prezzi di bitcoin, in effetti, non mancano. L’adozione di un regime normativo e fiscale favorevole in alcuni paesi (come il Giappone e l’Australia) ne favorisce la diffusione.
L’instabilità economica e valutaria in altri paesi (come il Venezuela sull’orlo della guerra civile e l’India colpita dalla demonetizzazione improvvisa delle banconote di grosso taglio) ha favorito la fuga dalle monete tradizionali e ha fatto apparire bitcoin come un possibile rifugio dagli arbìtri (o anche semplicemente dalle tentazioni inflative) delle banche centrali. L’afflusso di investitori istituzionali e l’esposizione mediatica hanno contribuito a sostenere la domanda e il prezzo di bitcoin. Ma si tratta sempre di motivazione estrinseche.
 
Il pregio? il suo anonimato
Sul piano tecnico, delle sue qualità intrinseche, bitcoin è (ancora) lontano dal mantenere le sue promesse di consentire pagamenti istantanei e gratuiti: al contrario, è sempre più lento e costoso (le commissioni sono aumentate da pochi centesimi a oltre cinque dollari a transazione).
Il suo principale pregio continua a essere l’anonimato; perciò, il suo principale uso continua a essere l’attività illegale. Bitcoin serve per violare la legge, a prescindere dal fatto che si tratti di norme vessatorie (come quelle che impediscono a un cittadino venezuelano di difendersi dagli espropri del regime chavista) o di regole opportune e legittime (come quelle che vietano il traffico di droga o di armi).
I fautori di bitcoin sostengono che, se i problemi tecnici fossero risolti e se il quadro normativo si chiarisse, l’utilizzo si diffonderebbe; l’ineluttabile apprezzamento di bitcoin poggerebbe sulla solida base di una tecnologia all’avanguardia. Ma una moneta che si apprezza in maniera progressiva e erratica non è una buona moneta, anche se può apparire come un buon investimento. E non è detto che continui a esserlo in futuro. È difficile non considerare puramente speculativo l’investimento nei titoli di una società che produce soltanto titoli trasferibili. Come se Apple non producesse computer, tablet e smartphone, ma solo azioni Apple.
 

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