La mossa vincente dell'uomo solo  al comando
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La mossa vincente dell'uomo solo al comando

IL TALENTO DEL FONDATORE E LA SUA GESTIONE ASSICURANO PERFORMANCE MIGLIORI SOPRATTUTTO SE IL POTERE NON E' CONDIVISO CON ALTRI PARENTI. MA COME PRESERVARE QUESTI RISULTATI ANCHE DOPO?

di Mario Amore, assistant professor presso il Dipartimento di management e tecnologia

Bernardo Caprotti è stato un lungimirante imprenditore in grado di creare un impero nel settore della distribuzione in Italia. Insieme alle sue uniche capacità imprenditoriali, ha fatto molto discutere anche il livello di complessità nel passaggio generazionale all’interno del gruppo Esselunga, caratterizzato da aspri scontri familiari e perfino battaglie legali. Ma i casi di conflitto e di successione difficile si moltiplicano. Qualche tempo fa all’imprenditrice della società Gilardoni di Mandello è stata vietata da un giudice la guida della società per presunti comportamenti violenti con i dipendenti. In casa Luxottica, Leonardo Del Vecchio si dibatte da anni con un caso di transizione complicata.
Sono molte le aziende che, se da un lato beneficiano dello straordinario contributo manageriale dei fondatori in termini di motivazione e talento individuale, d’altro canto faticano a gestire il passaggio generazionale nel momento in cui il fondatore decide di passare la posizione di comando all’interno della famiglia o all’esterno.
La letteratura in materia fornisce robuste evidenze empiriche sull’ottima redditività delle aziende gestite dai fondatori. Per esempio, le analisi di Villalonga e Amit sul campione di aziende americane Fortune 500 indicano che le aziende familiari con fondatori in posizioni chiave al vertice (amministratore delegato o presidente del board) performano meglio delle aziende non familiari. Al contrario, le aziende familiari gestite dagli eredi del fondatore performano significativamente peggio delle aziende non familiari.
 
Lo stile non è ereditario
Tuttavia, alcune importanti condizioni devono essere rispettate per far emergere tale effetto positivo dei fondatori sulle performance aziendali. In particolare, i colleghi Miller, Le-Breton-Miller, Lester e Cannella dimostrano che affinché l’azienda prosperi occorre che il fondatore sia il solo membro al comando. In altre parole, l’effetto dei fondatori sulle performance aziendali scompare quando altri membri familiari sono presenti al vertice dell’azienda (anche nel caso di aziende di prima generazione).
Questi risultati suggeriscono come i fondatori abbiano uno stile di gestione molto peculiare, difficilmente trasferibile ad altri membri della famiglia e che mal si concilia con modelli di leadership collegiale. In effetti, malgrado i buoni risultati di gestione discussi sopra, studi recenti dimostrano che le aziende gestite da fondatori presentano pratiche manageriali di qualità inferiore se paragonate, per esempio, ad aziende a proprietà diffusa o controllate da fondi di private equity.
 
La pianificazione è la soluzione
In sintesi, abbiamo una fondamentale ambivalenza nella figura dei fondatori per la vita delle aziende. Da un lato, la loro visione manageriale e il loro talento si manifestano in performance finanziarie di successo; da un altro lato, la loro centralità e il loro unico stile di gestione complicano i processi di passaggio di potere al vertice.
Sappiamo bene che il primo passaggio generazionale rappresenta forse il processo più critico per tutte le aziende familiari. Occorre quindi chiedersi cosa possono fare le aziende per assicurarsi di preservare gli ottimi risultati ottenuti dai fondatori in seguito alla necessità o alla volontà di questi ultimi di lasciare il potere.
Meccanismi di buona corporate governance, come per esempio la presenza di consiglieri non familiari nel consiglio d’amministrazione, e una pianificazione adeguata della successione possono certamente facilitare una corretta gestione di questo processo che determina a tutti gli effetti se l’azienda familiare continuerà a prosperare negli anni, o se sarà destinata a scomparire o a essere venduta.
 

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