La sfida del Corsera
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La sfida del Corsera

COME CAMBIA IL SISTEMA DEL QUOTIDIANO DI VIA SOLFERINO. LO SPIEGA IL RESPONSABILE, E ALUMNO BOCCONI, NICOLA SPERONI

È nelle piccole cose che si vivono le emozioni autentiche. È nelle piccole cose che si esprime la forza dell’immaginazione. È nelle piccole cose, di cui parlano Fedez e J-Ax nella loro ultima canzone, che Nicola Speroni, responsabile Sistema del Corriere della Sera, laureato in economia aziendale in Bocconi nel 1999, ritrova il valore dell’esistenza, senza che questa venga filtrata o interpretata dagli strumenti dell’era digitale. È nella soddisfazione di mettere in buca una palla o di superare un bunker durante un giro di golf, per esempio, che Speroni rivaluta l’esperienza umana. Lui, che nella vita professionale si confronta con gli effetti della rivoluzione digitale: il quotidiano on-line di via Solferino, infatti, è stato il primo in Italia a mettere in pratica un’articolata strategia digitale, introducendo il modello di consumo di notizie a pagamento, intrecciando i contenuti di testo e di video (anche quelli di YouReporter ) prodotti dalla redazione, offrendo ai lettori l’esperienza di stare al centro della notizia con il canale video a 360° del Corriere.
Da Rcs Digital alle notizie a pagamento. Qual è stato il percorso intrapreso da Rcs?
Nel 2003 è nata Rcs Digital che raggruppava corriere.it e gazzetta.it come piattaforme digitali separate dai giornali cartacei. Poi nel 2010, online e offline sono stati incorporati nelle strutture dei Publisher diventando due espressioni di un unico prodotto.
Cos’è cambiato dal punto di vista organizzativo?
Tutto. Si è creata una redazione unica, guidata da un solo direttore, che produce contenuti per entrambi i supporti; così come, dal punto vista manageriale e gestionale, è stato formato un team che creasse sinergie fra il digital e la carta: oggi qualsiasi tipo di operazione viene declinata su tutte le piattaforme. Per quanto riguarda la vendita degli spazi pubblicitari, per esempio, siamo in grado di offrire un pacchetto di comunicazione integrata che coinvolge cartaceo, digitale e eventi.
Il digitale ha trasformato i contenuti editoriali e le modalità di fruizione di questi, ma ha anche stimolato modelli di business inediti…
Sì, quelli basati sui ricavi editoriali provenienti dal digitale e noi siamo stati i primi in Italia ad applicarli. Eravamo consapevoli che la fruizione delle piattaforme online fosse in forte crescita anche perché queste consentono di costruire una personalissima dieta mediatica. Così, dopo aver avviato il modello di business legato alla replica del giornale con le digital edition, abbiamo deciso di lanciare il modello a pagamento sul sito prendendo a esempio il sistema del New York Times.
In che cosa consiste?
Abbiamo puntato sul metered paywall, il sistema che ogni mese consente agli utenti di poter leggere gratuitamente 20 articoli online, oltre ai quali è necessario sottoscrivere un abbonamento. È un sistema volutamente poroso, ossia dotato di un muro che permette alcuni punti di passaggio e quindi evitare il drop di traffico e pubblicitario.
Perché avete scelto deliberatamente questa strada?
Il passaggio al paywall è complesso e costringere improvvisamente i lettori a pagare l’accesso al sito può significare un calo di traffico importante. Bisogna quindi accompagnare gli utenti in questa metamorfosi culturale e di abitudini che consente la sopravvivenza dei quotidiani online, in cui l’equilibrio fra ricavi pubblicitari ed editoriali è fondamentale.
Con questa nuova versione del Corriere online e l’app Corriere Up avete conquistato nuovi lettori?
Questo è avvenuto soprattutto fra i giovani che sono abituati ad alimentarsi di informazioni digitali e sono disposti a pagare per avere contenuti di qualità.
Oggi, sempre più spesso, i servizi sono gratuiti…
Certo, ma i contenuti si pagano. Facebook e Google non producono contenuti, gli editori sì. Per vedere un film, seguire una partita o ascoltare una canzone si paga un abbonamento a Netflix, Sky o iTunes, lo stesso vale per le notizie di un giornale.
Ma sembra più difficile far digerire l’idea di pagare le news. Perché?
È la conseguenza di alcuni errori di valutazione fatti quando c’è stata la bolla di internet: si pensava che la pubblicità sarebbe cresciuta per tutti consentendo di diffondere i contenuti editoriali gratuitamente. Invece, la pubblicità online non ha avuto i volumi previsti: i classici banner, per esempio, hanno una flessione in tutto il mondo e si sono sviluppati nuovi modelli pubblicitari.
Che tipo di pubblicità funziona sul digital?
La native advertising, ossia quel tipo di contenuti pubblicitari studiati ad hoc per il contenitore in cui vengono inseriti, che assumono l’aspetto del contesto per cui sono progettati.
E la pubblicità dinamica come i video?
Funziona molto bene: i video sono molto cliccati e condivisi. In questo ambito si inseriscono i pre roll, ossia quei brevissimi annunci che precedono l’inizio di un video.
Per quanto riguarda le notizie, in futuro è ragionevole pensare a un quotidiano tailor made?
Questo è uno dei grandi temi a cui abbiamo anche noi pensato in passato visto che non dovendo sostenere i costi del processo industriale di stampa si potrebbe ragionare in questi termini, ma fino a oggi nessuno ha applicato tale modello. L’autorevolezza con cui un quotidiano come il Corriere seleziona notizie, dà voce a un pluralismo di opinioni e indirizza la lettura è ciò che vogliono i lettori.
Si può pensare di creare un sistema di abbonamenti verticali, per tema?
Con CorriereEconomia Pro abbiamo fatto un esperimento nell’ambito dell’informazione economica con un’offerta b2b in cui proponiamo in abbonamento un focus economico che contempla i contenuti del sito del Corriere, quelli della digital edition, una serie di notizie prodotte appositamente e inviate con una newsletter alle 7 e a mezzogiorno, oltre alla possibilità di accedere al settimanale L’Economia già dal sabato.
Qual è il rapporto di Rcs con i principali player digitali, dai social media a Google?
Facebook e Google hanno bacini d’utenza talmente ampi che sarebbe un errore prescindere da loro, nello stesso tempo queste realtà hanno bisogno degli editori per accedere ai contenuti. C’è quindi un rapporto di confronto soprattutto quando si tratta di discutere sulle innovazioni tecnologiche: Google ci ha coinvolto riguardo all’Amp (Accelerated Mobile Pages); Facebook lo ha fatto con il lancio degli istant article, permettendo a noi e ad altri editori di importare i nostri contenuti sul social network.
 

di Allegra Gallizia

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