Un aiuto per conoscere se stessi
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Un aiuto per conoscere se stessi

COSA FA E A COSA SERVE IL SERVIZIO DI MENTORING DELLA BAA

C’è un mentore, ma il rapporto non è quello tra maestro e discepolo della cultura classica. C’è l’ascolto profondo, ma non si tratta di una seduta di psicanalisi. Si discute di carriera, ma non si tratta di head hunting. Il servizio di mentoring del Career Advice della BAA, sviluppato da alcuni anni per consentire ai soci BAA che lo desiderino di mettere meglio a fuoco la propria carriera grazie al confronto con un alumnus più senior, solo nel 2016 ha visto l’abbinamento di 18 coppie di mentor e mentee. Ma cosa offre in concreto questa opportunità?

“È innanzitutto la possibilità di guardare con un po’ più distacco alla propria esperienza e, nel raccontarla al mentor e nell’ascoltare la sua, di valutare se il nostro percorso è ancora quello che desideriamo”, racconta la mentee Cristina Gallo, group product manager Divisione animal health di Bayer. All’inizio, Cristina non sapeva bene cosa aspettarsi: “Istintivamente pensavo a un’attività più strutturata, a una sorta di workshop. A posteriori ho capito che in un rapporto one-to-one di questo tipo un meccanismo basato sul dialogo è molto più importante”.

Anche perché il ruolo del mentor, spiega Alessandro Cremona, presidente di Goldmann & Partners, che ha seguito Cristina, “è più quello di ascoltare che di dare consigli. Credo che ognuno di noi, in cuor suo, possa trovare le risposte a certe domande, ciò che conta è suggerire le domande giuste”. Così, “si dà la possibilità al mentee di imparare dagli errori che noi stessi abbiamo commesso”.

È sulla stessa linea d’onda la mentor Manuela Vallecchi, partner di Santulin and partners e che ha già collaborato in più occasioni con il servizio di mentoring BAA. “L’ascolto è la capacità fondamentale del mentor ed è una capacità per nulla scontata. Ma a chi desidera mettersi a disposizione di un mentee mi sento di dire che si tratta di una collaborazione, non di un rapporto come quello del maestro e del discepolo. Anche il mentor deve mettersi in discussione e la comunicazione non deve essere solo a senso unico”.

Uno dei mentee con i quali Manuela ha lavorato è Gloria Paolucci, che ha deciso di rivolgersi al servizio di mentoring per mettere a frutto un curriculum ricco di esperienze in Ong, anche sul campo, e un forte interesse per la gestione finanziaria nell’ambito sanitario del Terzo settore. “Ho trovato molto bello e utile il fatto che la mia mentor abbia deciso di coinvolgersi con la mia esperienza in modo profondo, non superficiale. È stata un’esperienza molto positiva”. Un’esperienza che, secondo la mentee, nasce con il piede giusto “se si ha chiaro fin dall’inizio che non si tratta di un servizio di placement”.
E qui veniamo agli errori da non fare. Oltre al non pensare di sfruttare il mentor per trovare lavoro, è bene che il mentee “non creda che i consigli del mentor siano meno validi se questo si occupa di un settore professionale diverso. Io faccio marketing, ma non per questo devo per forza chiedere l’aiuto di un una persona del marketing”, sottolinea la mentee Cristina Gallo.

“C’è un limite che non deve essere superato”, aggiunge il mentor Alessandro Cremona. “Il mentor deve avere doti di leadership e di etica, deve essere una persona sicura di sé, ma non gli si può chiedere di prendere delle decisioni al posto proprio. Il nostro lavoro è quello di insegnare a scavarsi dentro”. È d’accordo Manuela Vallecchi, che aggiunge: “Al mentee non si possono dare risposte banali e preconfezionate, basate sul buon senso. Bisogna ascoltare profondamente, anche solo per capire se si è la spalla giusta sulla quale il mentee può appoggiarsi”.

La ricchezza, di conseguenza, è a doppio senso: “I vantaggi per il mentor? Tra tutti, la possibilità di rinnovare le proprie motivazioni e aggiornarsi grazie al confronto con una persona più giovane e poi la grande soddisfazione di trasferire agli altri le proprie competenze”, conclude Cremona.
 

di Andrea Celauro

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