L'Avana, tra passato e futuro. Ma... no es facil
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L'Avana, tra passato e futuro. Ma... no es facil

UN PAESE IN PIENA TRANSIZIONE, ANCHE SE MOLTI CAMBIAMENTI SEMBRANO PIU' DI FACCIATA CHE DI SOSTANZA. VIVERE E LAVORARE A CUBA NEL RACCONTO DELL'ALUMNA BOCCONI LUISA AUSENDA

Il mercato generale di Istanbul, si sa, non è il luogo adatto per fare una telefonata. Quando otto mesi fa ho ricevuto la proposta di trasferirmi a Cuba mi trovavo nel cuore del Gran Bazar. Di lì a poco, causa anche la crescente instabilità politica turca, ho lasciato il mio lavoro in una galleria d’arte contemporanea e comprato un biglietto di sola andata per L’Avana.

Nel caldo tropicale di inizio novembre mi attendevano un’altra galleria d’arte contemporanea, questa volta italiana, e una situazione del tutto inaspettata. Lo spazio di Galleria Continua, un cinema abbandonato degli anni ’50 nel Barrio Chino de L’Avana, era ancora un cantiere. Non c’era né un ufficio né una scrivania, né tantomeno un bagno o l’aria condizionata. Il mio primo compito era di completare la sua trasformazione. In seguito ho cominciato a coordinarne le attività.

La domanda come trovare lavoro a Cuba dovrebbe fare seguito al dilemma se trovare lavoro a Cuba per poi rimanere qualche mese, anno, o forse un solo istante a soppesarlo. Prima di tutto bisogna considerare il motto dell’isola più in voga dei Tropici: “No es facil”. Se da una parte Cuba pare ora sulla cresta dell’onda, chissà a un passo dal futuro d’oltremare, dall’altra propone la stessa propaganda di sessant’anni fa.
Dopo il decennio noto come periodo especial, gli anni ’90, durante il quale a causa delle carenze di viveri e affari Cuba sembrava un paese in-guerra-senza-guerra, oggi si respira un’aria diversa.  Ad ogni modo per lavorare a Cuba oltre a un permesso di soggiorno è necessario un contatto preesistente. La maggior parte dei posti di lavoro sono riservati ai cubani e solo in casi straordinari come il mio vengono affidati impieghi pubblici a stranieri. Infatti è stata una grande sorpresa ritrovarmi con un contratto di lavoro rilasciato dallo Stato cubano e intestato: “Nel 58esimo anno della Rivoluzione”. Così pioniera a tutti gli effetti lavoro per la prima – e per ora unica – galleria non-cubana con una sede sull’isola. Un’occasione ottenuta grazie alla  collaborazione della Galleria con il Ministero di cultura cubano e al contributo apportato all’agenda culturale cittadina sia durante le Biennali de L’Avana sia tramite numerosi progetti pubblici. 

Il mio lavoro qui è costantemente animato dalla traiettoria storica del paese con le sue contraddizioni e idiosincrasie. Per esempio la telefonata fra Barack Obama e Raúl Castro ha avuto luogo il 17 dicembre 2014, ovvero il giorno dopo la performance del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto organizzata nelle acque cubane da Galleria Continua in collaborazione con un artista e una curatrice cubani, rispettivamente Kcho e Laura Salas Redondo. Da quella telefonata si sono succeduti eventi inconcepibili dal 1959, anno del cosiddetto “Trionfo della Rivoluzione”. Fra questi spiccano senz’altro le visite del Papa e del Presidente degli Stati Uniti, il concerto dei Rolling Stones e la sfilata di Chanel. Eppure i cambiamenti più evidenti sono ancora di forma più che di sostanza. I cubani possono da poco viaggiare, comprare una casa, un’auto e una barca. Attenzione però: una sola.
Dentro e fuori dall’isola s’immagina il suo futuro senza sperare d’indovinarlo. Gli isolani vivono sospesi fra un limbo di incognite e lo status quo, osservano i movimenti attorno a sé e temporeggiano. Chissà che forse proprio domani non arrivi anche qui la banda larga!
 
 
 
 

di Luisa Ausenda

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