La biodiversita' (anche umana) del Nicaragua
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La biodiversita' (anche umana) del Nicaragua

UN PAESE DALLE MOLTE SFACCETTATURE E IN LENTO MA COSTANTE CAMBIAMENTO, COME SPIEGA L'ALUMNA BOCCONI FRANCESCA LAROSA, CHE VIVE A MANAGUA DA CIRCA UN ANNO

Il Nicaragua è un paese diversamente ricco. Non certo per un reddito nazionale pro capite che non raggiunge i 2.000 dollari, ma per una biodiversità ancora ben preservata (sebbene in pericolo) e un popolo generalmente consapevole del proprio patrimonio.
A contraddistinguere le popolazioni indigene e rurali, concentrate nella parte centrosettentrionale del paese, c’è una coscienza del cibo che in altri luoghi è andata perduta. Usano le erbe, sanno che cosa fa bene e che cosa fa male e coltivano uno dei migliori caffè del mondo per autoconsumo. Non lo si trova, infatti, neppure nella capitale Managua. Ma l’arrivo di un embrione di economia di mercato segna un momento di transizione. Le popolazioni indigene, la cui consistenza è stimata in 333.000 persone, si oppongono al cambiamento, in difesa dei propri diritti.

Il mondo rurale si conserva, ma con qualche difficoltà. La gente sta reagendo alla comparsa dei primi supermercati e dei prodotti confezionati, ma continua a rifornirsi ai banchetti dei mercati all’aria aperta come l’immenso Mercato Oriental di Managua.
La costa pacifica, che viveva di pesca e agricoltura, diventa ogni giorno più turistica e molte delle attività ricettive sono gestite da stranieri, mentre il costo della vita aumenta. Il centro-nord rimane rurale, basato com’è sulle culture del caffè e dei fagioli e sull’allevamento. La costa atlantica è un’area di cui il governo centrale si occupa poco: mancano le strade e i servizi e la popolazione si distingue per la pelle più scura, una lingua creola basata sull’inglese, usanze diverse. Ma la costa è talmente bella che nel giro di pochi anni il turismo arriverà anche qui, come nel vicino Costarica. A impedirlo, per ora, è stata la scarsità di capitali, che in Costarica arrivano dagli Stati Uniti, mentre in Nicaragua provengono dalla Cina e dal Venezuela.

A scaldare gli animi è soprattutto il progetto di scavare un canale alternativo a quello di Panama, ma lungo tre volte tanto e finanziato da capitali cinesi. Il canale taglierebbe in due il paese e il suo ecosistema, e costituirebbe il più grande movimento di terra della storia dell’umanità. Una legge che consente l’espropriazione dei contadini è già passata, ma i lavori non sono cominciati – si dice – per le rovinose perdite subite dal finanziatore cinese con la crisi del suo paese.
Gli unici motivi che spingono gli stranieri a lavorare da queste parti sono la ricerca (come nel mio caso) e il volontariato. Già in fase di atterraggio, arrivando a Managua in aereo, si capisce di avere a che fare con una strana città, senza nessun edificio che si stagli tra gli altri e senza un vero centro. Il Nicaragua è fortemente sismico, anche a causa di 18 vulcani attivi, e Managua è stata quasi rasa al suolo nel 1972. Da allora in poi, ogni barrio, ogni quartiere, fa storia a sé, disorientando un po’ chi è abituato a città dalla pianta più convenzionale.
Quattro dei cinque paesi con il più alto tasso di omicidi al mondo sono in Centro America: Honduras, Belize, El Salvador e Guatemala; e l’altro (il Venezuela, in seconda posizione) è poco più a Sud. Il Nicaragua, però, è un’eccezione: la pericolosità di Managua non è paragonabile alle altre metropoli dell’area e, al di fuori della capitale, il paese è considerato tanto sicuro da avere organizzato, nel 2015, i Mondiali di surf. Intendiamoci, io che vivo a Managua la sera devo utilizzare solo taxisti di fiducia e sono stata rapinata un paio di volte, ma si tratta di inconvenienti minori rispetto a quanto accade nei paesi vicini.
 
 

di Francesca Larosa

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