Tokyo, un incrocio che impari ad amare
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Tokyo, un incrocio che impari ad amare

UNA CITTA' ORDINATA E ORGANIZZATA, LONTANA DALLO STEREOTIPO DELLA METROPOLI ASIATICA CAOTICA. MA ANCHE UN LUOGO CHE TI ACCOGLIE CON PARSIMONIA, DOVE SI DEVE ENTRARE SENZA FRETTA, COME SPIEGA JOHN TAYLOR, ALUMNUS BOCCONI CHE VIVE E LAVORA NELLA CAPITALE DEL GIAPPONE

Ricordo il primo giorno a Tokyo, due anni e mezzo fa. Sono rimasto per mezz’ora fermo a un incrocio trafficato con una mappa in mano. Nessuno si è offerto di aiutarmi perché i giapponesi sono a volte timidi oppure non parlano inglese. Il complicatissimo sistema degli indirizzi rende ancora più frustrante il tentativo di orientarsi. Ma quando finalmente ho deciso di fare affidamento sulle infrastrutture pubbliche, mi sono reso conto che sono meravigliosamente progettate. Tokyo ti fa sentire perso e confuso, all’inizio - è enorme e parla una lingua difficile - ma ha un’energia vibrante. Il Giappone è un coacervo di contrasti, di vecchio e di nuovo, e Tokyo è senza dubbio l’epicentro, il cuore pulsante del Paese.
Prima, però, bisogna riuscire ad arrivare in Giappone e non è facile perché i visti lavorativi sono concessi con grande parsimonia. È bene appoggiarsi a un’azienda o a una società- facilitatrice che ti assume, procura un visto temporaneo, ti dà il tempo necessario per cercare un impiego stabile. Trovare un alleato locale è cruciale per aprire nuovi canali. È importante essere puntuali, gentili, fare attenzione alla reputazione.

Sbaglia chi cerca di affrettare l’ingresso sul mercato: conquistare la fiducia dei giapponesi richiede molto tempo. La comunicazione è altrettanto importante. Gli occidentali tendono a essere diretti e concisi, i giapponesi puntano su gentilezza e capacità di leggere fra le righe.
Le sfide? Le spese di gestione e il costo della vita sono alti. In alcuni mercati ci sono atteggiamenti protezionistici. È importante avere una value proposition solida e unica, e proteggere il proprio capitale intellettuale. Fortunatamente, il mercato giapponese attribuisce grande importanza alla qualità di merci e servizi ed è disposto a pagare un extra per averli. Il tasso di disoccupazione è piuttosto basso, ma le norme sociali limitano l’accesso al lavoro. Stiamo parlando di una società a predominanza maschile, dove l’età è tenuta in grande considerazione. In nessun’altra nazione sviluppata c’è un tale divario fra gli stipendi di uomini e donne: queste ultime guadagnano il 50% dei colleghi maschi e quando vanno in maternità spesso non tornano al lavoro. Modernizzare il mercato, reclutare talenti stranieri e promuovere il lavoro femminile sono imperativi espressi dalle Abenomics, ma ancora non è chiaro se i cambiamenti saranno socialmente accettati.

Col tempo ho imparato ad amare Tokyo. Non è la tipica città asiatica caotica. È una delle metropoli più grandi al mondo, eppure è ordinata, pulita, sicura. Molti espatriati abitano nella zona di Minato, dove si trovano le ambasciate e le multinazionali, e dove si parla più comunemente inglese. E quando sento la nostalgia dei quartieri europei, vado nella zona di Azabu Juban, dove posso camminare lungo vie alberate costellate da negozi. Il verde scarseggia, ma l’ottima rete di treni ad alta velocità mi porta in un’ora o due sulle montagne o su bellissime spiagge. La qualità del cibo è eccellente (seconda solo all’Italia), ma dopo l’incidente alla centrale di Fukushima sono, come tutti, molto attento all’origine dei prodotti.
A Tokyo la ricerca della perfezione è estrema, l’etica del lavoro molto sviluppata. Che si tratti di tassisti o manager, i giapponesi svolgono il loro compito con orgoglio e rispetto per la società. È l’aspetto più impressionante della città, la dimostrazione che si possono tagliare traguardi importanti incoraggiando comportamenti virtuosi fin dalla più giovane età.
 
 

di John Taylor

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