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Ma la mafia da' lavoro?

, di Paolo Pinotti - assistant professor presso Il Dipartimento di analisi delle politiche e mangement pubblico
Forse sì, ma il confronto tra le regioni infestate e quelle in cui il fenomeno è limitato mostra che non ci sono benefici economici
Paolo Pinotti

Durante il suo ultimo concerto, tenutosi a Roccella Jonica (RC) nell'agosto del 1998, Fabrizio De Andrè stupì il pubblico affermando che "se nelle regioni meridionali non ci fosse la criminalità organizzata, la disoccupazione sarebbe molto più alta, almeno il dieci per cento in più". Come prevedibile, tali dichiarazioni innescarono una violenta polemica, che sfociò anche in un'interrogazione parlamentare. Con l'onestà intellettuale che gli era propria, il cantautore genovese sollevava il velo di ipocrisia che circonda il rapporto tra mafia ed economia nelle regioni meridionali: al riparo di ricorrenti richiami alla legalità, in molti si chiedono infatti se non sia vero che, dopotutto, la "mafia dà lavoro".

In un certo senso, è indubbio che sia così. Al pari delle attività lecite, anche quelle criminali impiegano forza lavoro e distribuiscono benefici economici ad una varietà di soggetti, dal piccolo spacciatore fino al capobastone, dall'impresa infiltrata in un appalto truccato alla finanziaria che ricicla i proventi delle attività illecite. Tuttavia, per capire se De Andrè (e altri assieme a lui) abbiano ragione nel sostenere che la mafia crea lavoro, bisogna porsi un'altra domanda: tali benefici superano i costi derivanti, direttamente o indirettamente, dalla presenza delle organizzazioni criminali? Paradossalmente, gli allarmi diffusi sempre più frequentemente in merito al peso delle organizzazioni criminali nell'economia del nostro paese pongono spesso l'accento sui profitti di queste ultime ("la mafia è la prima azienda italiana") anziché sui costi che ne derivano. Questi ultimi includono, per esempio, la distorsione della domanda pubblica a favore di imprese connesse con le organizzazioni criminali (a svantaggio di altre potenzialmente più efficienti) e la conseguente fuga della imprese "sane" verso le aree libere dalla presenza mafiosa.

In questa prospettiva, l'analisi costi-benefici della criminalità organizzata richiede di confrontare la situazione attuale delle regioni ad alta presenza mafiosa con uno scenario alternativo ("controfattuale") in assenza delle organizzazioni criminali. Idealmente, vorremmo quindi confrontare la "Sicilia attuale" con un'ipotetica "Sicilia mafia-free" oppure la "Milano attuale" con una "Milano 'ndrangheta-free". Tale confronto è tuttavia precluso, in entrambi i casi, dall'impossibilità di osservare lo scenario controfattuale.

Nondimeno, alcune situazioni approssimano questo esperimento ideale. Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, Puglia e Basilicata conobbero una rapida espansione della criminalità organizzata come conseguenza, rispettivamente, dello spostamento del traffico internazionale di sigarette dal Tirreno all'Adriatico, e dell'afflusso dei fondi pubblici per la ricostruzione post-terremoto in Irpinia. A seguito di tali eventi, le due regioni si trasformarono nel giro di pochi anni da isole felici del Mezzogiorno d'Italia a culle della quarta e quinta mafia del paese. Tale trasformazione coincise con un significativo rallentamento dello sviluppo economico, particolarmente evidente nel caso della Puglia, che mostra la più alta crescita economica tra tutte le regioni italiane fino all'inizio degli anni '70, ma precipita nelle ultime posizioni durante il decennio successivo, a seguito dell'intensificarsi della presenza mafiosa. Confrontando l'evoluzione del pil pro-capite con quello di regioni quali Abruzzo e Molise, che partivano da condizioni iniziali simili, è possibile quantificare il fardello economico imposto dalle organizzazioni criminali in un 15-20 per cento di pil pro-capite. Il costo sarebbe plausibilmente maggiore in regioni quali Sicilia, la Calabria e la Campania, che soffrono il radicamento mafioso sin dalla fine del XIX secolo. Questi risultati contraddicono dunque la convinzione che, al di là dei suoi costi umani e sociali, la mafia porti benefici in termini di attività economica.