OPINIONI |

Donne allo specchio tra spot e realta'

UNA RICERCA DI SDA BOCCONI E PLAYTEX HA INDAGATO L'EVOLUZIONE DELL'IMMAGINE FEMMINILE IN 50 ANNI DI RECLAME

di Maria Carmela Ostillio, docente del Dipartimento di markentig Bocconi e professore di marketing alla SDA Bocconi

La rappresentazione della donna in pubblicità, la bellezza e i suoi canoni cambiano a seconda delle epoche: la pubblicità, infatti, è comunicazione persuasiva, promuove consumi o comportamenti, non creando modelli e valori, ma “agganciandosi” a simboli e valori già acquisiti. Segue, insomma, lo spirito del tempo e, come sottolinea Umberto Eco, “parla un linguaggio già parlato in precedenza e, proprio per questo, risulta comprensibile”. 

Maria Carmela Ostillio
Su questi presupposti, nell’ambito di una ricerca SDA Bocconi-Playtex, abbiamo indagato come si sia modificata l’immagine del corpo delle donne italiane (45-60 anni) attraverso l’analisi della stampa specializzata tra il 1960 e il 2010.
Nei primi decenni oggetto di analisi, la pubblicità era tipicamente informativa, descrittiva ed educativa, basata più sul testo che sulle immagini. Sul finire degli anni ’80, si iniziano a privilegiare i codici visivi, quasi a voler rendere la stampa più simile al mezzo televisivo: gli annunci propongono in primo piano donne e prodotti, a cui vengono affiancati i loghi dei brand.
 
La donna raffigurata durante i cinquanta anni oggetto di analisi è sempre bella, seppur con una bellezza che via via diviene più evidente e aspirazionale (nel decennio 1960-69 sono mediamente 62 le pagine pubblicitarie che presentano la donna bella, che diventano 89 nel 1980-89 e 226 nel 2000-2010), e l’immagine della donna diviene sensuale e seduttiva. Al contempo, quasi come contraltare a tale raffigurazione femminile, si afferma dagli anni ’60 la figura di una donna naturale, semplice e molto normale. Inoltre, nella sua raffigurazione, la donna acquisisce nel corso del tempo una maggiore modernità e sportività: la figura della mamma o della casalinga si riduce notevolmente negli anni posteriori ai ’60, seppur rimanga più evidente per la pubblicità di certe categorie di beni (food e alimentari). Infine, è stato molto interessante verificare come la totalità dei codici visivi presenti negli annunci pubblicitari analizzati presentasse un notevole flesso nel decennio 1970-1979, anni di contestazione e di protesta, accompagnati dall’esigenza di affermazione femminile. 

Per ciò che attiene alle categorie di prodotti pubblicizzate sulle riviste, oltre ad assistere a una crescente presenza di profumi, abbigliamento, accessori ed intimo, dagli anni ’90 riducono il loro peso rispetto al decennio precedente gli alimentari e gli elettrodomestici. Ciò è certamente attribuibile all’inversione di tendenza tra i due decenni, in cui da una lunga fase di espansione economica in cui in Italia si assisteva a un’apertura al cambiamento e un atteggiamento favorevole verso i consumi, in particolare nei beni di lusso, nel comparto della moda e dei beni durevoli (auto, elettrodomestici, etc.), e verso un benessere materiale connesso al desiderio di apparire, evadere e divertirsi, si passava ad un periodo più buio, con una maggior cautela nello spendere e una crescente attenzione al rapporto prezzo-qualità. L’analisi sin qui svolta conferma come la rappresentazione della donna in pubblicità, sulle testate specializzate, segue e si adagia su di un contesto economico e socio-culturale in cui la pubblicità riflette simboli e valori già acquisiti, con una specifica interpretazione trasferita attraverso codici visivi e verbali nonché tramite il racconto di prodotti e brand che assumono un ruolo sempre più centrale nella comunicazione e nel linguaggio pubblicitario impiegato.

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