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Il mal di merito va curato

, di Tomaso Eridani
In Bocconi si è discusso dell’impellenza di diffondere in Italia la meritocrazia nelle imprese, scuole e pubblica amministrazione per rilanciare economia e società

Un paese, l'Italia, deficitario di meritocrazia nelle sue sfere principali, sia pubbliche che private, che così penalizza le sue economia e società e alla quale bisogna porre rimedio tramite interventi concreti nei campi dell'impresa, istruzione e pubblica amministrazione. È questo il quadro uscito dal dibattito 'Meritocrazia. Per rilanciare la società italiana' organizzato dalla Bocconi Graduate School.

"La cultura del merito non si diffonderà finché non sarà accettata da tutta la società. E accettare la meritocrazia ha dei costi - bisogna infatti essere disponibili ad essere valutati e a riconoscere i propri limiti," ha spiegato Guido Corbetta, direttore della Bocconi Graduate School, introducendo il dibattito. "È necessario, dunque, coniugare il merito con il concetto di responsabilità sociale, instillando il concetto che 'chi più ha, più deve dare'."

"In Italia manca una cultura capace di valorizzare le eccellenze e i talenti e questo deficit è molto più diffuso di quanto si pensi, anche nella settore privato," ha esordito Roger Abravanel, autore del volume 'Meritocrazia: oltre le denunce contro le raccomandazioni – 4 proposte per valorizzare i talenti e rendere la nostra società più ricca e più giusta' (Garzanti, 2008). "E tale deficit nasce dall'assenza in Italia di un cultura della concorrenza e di un sistema scolastico capace di azzerare i privilegi di nascita."

Secondo Abravanel, va sottolineato come la meritocrazia non porta a disuguaglianze, come alcuni vogliono fare credere, considerando che i dati, illustrati da Abravanel, mostrino come l'Italia abbia una mobilità sociale decisamente inferiore a Usa e Regno Unito.

"La lotta ai fannulloni e raccomandati non va portata avanti con leggi ma semplicemente premiando il merito e così dando fiducia ai giovani," ha detto Abravanel. "Bisogna creare delle comunità del merito nel mondo imprenditoriale e delle fabbriche di eccellenza nel mondo scolastico per fare crescere i talenti."

Per diffondere una cultura del merito in Italia, secondo Abravanel, sono quattro i punti su cui iniziare a lavorare: introdurre una 'delivery unit' su modello inglese nella Pubblica amministrazione per spingere l'attuazione di miglioramenti concreti, anche piccoli; introdurre dei test nazionali standardizzati nelle scuole per permettere di valutare i migliori studenti e le migliori scuole; un'authority per liberalizzare i servizi locali e spronare la concorrenza; discriminare positivamente le donne sul lavoro per far emergere una leadership femminile, prendendo esempio da paesi come la Norvegia che ha imposte delle 'quote rose' nei cda delle principali società quotate.

"Una delivery unit sarebbe sicuramente positiva, spostando l'attenzione dalle procedure ai risultati concreti, mentre in tema di istruzione bisogna lavorare anche sulle scuole per fare sì che permettano al talento di emergere" ha commentato Francesco Giavazzi, docente Bocconi, in un intervento video. "In tema di servizi locali sarebbe utile permettere ai cittadini di avere modo di valutare e confrontare scuole e ospedali e sicuramente bisogna anche valorizzare il capitale umano femminile, togliendo i disincentivi che allontanano le donne dal mondo del lavoro."

"La meritocrazia è democrazia e riuscire ad applicarla, dando pari opportunità di partenza a tutti, significa essere giusti e consentire alle aziende e alla società tutta di crescere," ha commentato Alessandro Profumo, a.d. di Unicredit Group.

"Nel mondo imprenditoriale la concorrenza è fondamentale mentre in Italia troppi imprenditori si sono sottratti al rischio e bisogna fare tornare la voglia di esplorare e crescere," ha detto Andrea Guerra, a.d. Luxottica Group. "Le aziende familiare che sono cresciute sono proprio quelle che hanno saputo aprirsi ai mercati e alla concorrenza internazionale."


Al dibattito hanno partecipato anche Roberto Cingolati, direttore scientifico Istituto Italiano Tecnologia, Mario Barbuto, presidente del Tribunale di Torino, Michele Appendino, di First Generation Network, e Angelo Provasoli, rettore Università Bocconi.