OPINIONI |

Rescue company, un'idea anticrisi

LE IMPRESE SOCIALI NATE COME SPIN OFF DI AZIENDE IN DIFFICOLTÀ POSSONO ESSERE UNO STRUMENTO PER CREARE POSTI DI LAVORO. LA LEGGE LO PERMETTE, MA SERVE UN SUPPORTO ISTITUZIONALE

di Roberto Randazzo, docente a contratto di no profit organization law alla Bocconi,

È possibile utilizzare l’impresa sociale come strumento per la creazione di nuovi posti di lavoro e per il reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati? La risposta sembra essere positiva, considerato che la norma (decreto legislativo n.155 del 2006) stabilisce espressamente che possono acquisire la qualifica di impresa sociale anche le organizzazioni che esercitano attività di impresa, al fine dell’inserimento lavorativo di “lavoratori svantaggiati”.

Nell’ultimo periodo, l’attenzione verso l’impresa sociale ex lege è cresciuta in maniera rilevante, vista anche la necessità di trovare soluzioni per far fronte all’attuale crisi occupazionale. L’idea di utilizzare questo veicolo anche per il reinserimento di lavoratori svantaggiati, infatti, è un’ipotesi che si innesta in maniera coerente all’interno dell’attuale contesto socio-economico.
 
Partendo dal dato normativo, è possibile ipotizzare che l’impresa sociale possa essere utilizzata come veicolo per il salvataggio di posti di lavoro o tramite la creazione di una newco-impresa sociale o come spin-off di aziende in crisi. In particolare, ciò potrebbe avvenire mediante la creazione di un’impresa sociale in forma di società di capitali o, in alternativa, attraverso la costituzione, da parte degli stessi lavoratori, di una cooperativa-impresa sociale.
 
È evidente che si tratta di modelli con un’impostazione completamente diversa, poiché, mentre nel caso della cooperativa si andrebbe verso una soluzione di carattere mutualistico, connotata da una forte democraticità, qualora si optasse, invece, per un veicolo societario si potrebbe mantenere la proporzione tra diritti proprietari e controllo, consentendo comunque ai lavoratori di partecipare, alla proprietà o alla gestione, senza estromettere totalmente l’imprenditore.
In merito alla capitalizzazione, quale ulteriore elemento di innovazione, potrebbero essere gli stessi lavoratori a contribuire, in tutto o in parte, alla costituzione del capitale della nuova impresa, avendo anche la possibilità di utilizzare le risorse derivanti dagli ammortizzatori sociali; inoltre, trattandosi a tutti gli effetti di un ente senza scopo di lucro, si configura l’opportunità di ricevere contributi ed erogazioni liberali da parte di soggetti pubblici e privati intenzionati a supportare le attività dell’impresa sociale.
 
Alcuni passi sono già stati compiuti e, sul punto, è sicuramente degno di nota il lavoro che in questo periodo svolge, in Lombardia, l’Agenzia regionale per l’istruzione, formazione e lavoro - Arifl, finalizzato alla realizzazione di un modello di rescue company che possa essere applicato alle numerose imprese che versano in una situazione di crisi. Un modello, quello dell’impresa sociale come rescue company, che sembra essere funzionale alla gestione della crisi occupazionale ma che, per avere una definitiva legittimazione, avrebbe bisogno sia di un supporto istituzionale che possa agevolarne la diffusione, sia di un intervento interpretativo volto a chiarire alcuni passaggi critici che caratterizzano la norma.

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