OPINIONI |

Housing sociale, impariamo a farlo dall’Olanda

PIANO CASA. L’ABITAZIONE PER LE FASCE DI POPOLAZIONE CHE NON RIESCONO AD ACQUISTARE SUL MERCATO

di Giacomo Morri, direttore del Master in Real estate della Sda Bocconi

La recente crisi economica ha avuto un notevole impatto sul settore immobiliare: se gli effetti più evidenti sono stati senza dubbio la riduzione dei valori immobiliari e la debacle di numerosi operatori, un effetto meno evidente, ma non certo meno importante, è stata la riduzione del potere di acquisto delle famiglie, che si riflette sulle possibilità di accesso all’abitazione per una sempre più ampia fascia intermedia di popolazione (oltre in particolare a studenti, single e giovani famiglie).

Quest’ultima, da un lato non riesce ad accedere all’acquisto dell’abitazione sul libero mercato, dall’altro non rientra nei programmi per l’edilizia residenziale popolare e, infine, incontra serie difficoltà anche nel trovare una soddisfacente soluzione abitativa in locazione, in quanto, nel mercato italiano, chi possiede una casa nella maggior parte dei casi vi abita.
 
Il recente Piano Casa, nel tentativo di rispondere a questo e altri problemi, ha introdotto un modello in cui dallo Stato centrale, per mezzo di un sistema di fondi immobiliari locali, è possibile far affluire risorse finanziarie finalizzate allo sviluppo del social housing, inteso come edilizia residenziale a canone di locazione calmierato. In sostanza, si offre agli operatori privati la possibilità di creare fondi immobiliari per la realizzazione di nuove unità residenziali destinate alla locazione a canone ridotto e successivamente alla vendita. Cassa depositi e prestiti, mediante un fondo di fondi gestito dalla propria Sgr, investirà in questi fondi immobiliari locali fino al 40% dell’equity necessaria.
 
Per poter essere effettivamente virtuoso, oltre a un supporto finanziario pubblico, il modello deve essere completato anche da una maggiore efficienza del progetto immobiliare: è quindi utile uscire dai soliti paradigmi dello sviluppo e della gestione immobiliare e guardare a nuovi modelli che contemplino la collaborazione tra pubblico e privato. In questo altri paesi hanno già ottenuto risultati interessanti, primo fra tutti l’Olanda, dove oggi oltre un terzo delle abitazioni rientrano in un modello di social housing e sono realizzate con capitali privati. Il modello olandese si basa su un programma integrato di rigenerazione urbana e sulla realizzazione di unità immobiliari più efficienti nei costi di gestione e nell’utilizzo delle superfici.
 
In primo luogo, la concertazione tra pubblico e privato consente di giungere alla definizione di progetti di più ampia portata in cui si riqualificano e si valorizzano aree urbane mediante la realizzazione di un mix di funzioni (più “ricche”come il retail o meno come il residenziale in locazione), al fine di ottenere anche un mix sociale con la creazione di servizi a livello di quartiere, innalzando la qualità complessiva della zona. In questo modo la redditività complessiva del progetto è sufficiente ad attirare investitori privati, senza la necessità di un continuo ricorso a capitali pubblici.
In secondo luogo, grande attenzione viene prestata alla tecnica costruttiva, con l’impiego di nuove tecnologie che consentano un abbattimento dei costi e dei tempi di costruzione, ma anche con un’attenzione al risparmio energetico che permette di ridurre i costi di gestione e di migliorare, conseguentemente, il risultato economico.
Infine, una progettazione attenta alle nuove esigenze, consente di ottimizzare l’uso degli spazi mediante la creazione di parti comuni che permettono di ridurre le superfici private senza diminuirne l’utilità, il tutto di nuovo a vantaggio dell’economicità del progetto.
 
Prima di potersi anche solo avvicinare ai risultati dell’Olanda ci vorranno ancora anni, ma la strada è stata tracciata e il crescente interesse degli operatori del mercato fa dell’housing sociale una delle tematiche più calde del mondo immobiliare odierno.

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