OPINIONI |

Palazzetti da miliardi di dollari l'anno

NEGLI USA, LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI SPORTIVI NEI CAMPUS SI RIVELA UN VERO, GRANDE AFFARE. CAMPI E PALESTRE SONO MESSI A DISPOSIZIONE DELLA COMUNITà, A PAGAMENTO

di Giuseppe De Martino e Carlo Favero, rispettivamente architetto specializzato in impiantistica sportiva e ordinario di economia monetaria alla Bocconi

Un miliardo di dollari negli ultimi tre anni. A tanto ammontano gli investimenti per i recreation center delle università americane. Harvard, Ucla, Stanford, New York University, San Diego State University e più in generale tutte le più importanti università americane danno molta importanza allo sport e alle strutture sportive messe a disposizione dall’università.

Visitando i loro siti si scopre che l’attività di campus recreation è organizzata intorno a giganteschi centri sportivi multifunzionali con piscine, campi da tennis, palestre per basket e pallavolo, palestre per fitness, campi da calcio e piste di atletica.L’attività dei centri è rivolta a diverse categorie di utenti: le squadre che rappresentano le università nei tornei nazionali, gli studenti, gli alumni e la comunità esterna alle università. Le squadre che rappresentano gli atenei nei tornei nazionali sono paragonabili a vere e proprie squadre professionistiche, che creano identificazione verso l’istituzione. I recreation center diventano così punti di riferimento naturale per l’attività sociale, per l’attività sportiva ma anche per il tempo libero che facilita l’integrazione tra studenti di provenienza molto diversa ed eterogeneacon i compagni di corso, la facultye la comunità locale, migliorando la qualità di vita all’interno del campus e anche l’attrattività dell’ateneo verso le potenziali matricole.

L’utilizzazione delle strutture non è però gratuita, anzi vengono stabiliti prezzi differenziati a seconda della tipologia d’utente. L’università di Berkeley, per esempio, offre la membership semestrale al Cal Rec Club al prezzo di 35 dollari per gli studenti, 160 dollari per professori e dipendenti, 250 dollari per gli alumni, 350 dollari per i membri della comunità, con l’eccezione dei pensionati a cui viene offerto un prezzo scontato di 100 dollari.

Ma l’impatto sulla comunità dei recreation center non si limita alla possibilità di svolgere attività sportiva: spesso i recreation center ospitano strutture di medicina dello sport e centri avanzati di terapia riabilitativa che, creati per gli atleti, vengono messi, ovviamente a pagamento, a disposizione della comunità.

Il risultato per le strutture statunitensi sono operating budget dell’ordine di 8 milioni di dollari per anno, di cui meno del 10 per cento viene normalmente finanziato con le tasse universitarie pagate dagli studenti, con un’utenza annuale molto superiore a quella del numero degli studenti iscritti, favorendo così l’integrazione tra ateneo e comunità locale. In breve, un (grande) affare per le università, una fonte di miglioramento della qualità della vita per gli studenti e per le comunità locali. Un fenomeno solo americano legato alla presenza di importanti leghe universitarie che attraggono sponsor e diritti televisivi? No, la tradizione dello sport a Oxforde Cambridge è ben viva e non si può certo dire che nel Regno Unito esista l’equivalente di una organizzazione sportiva universitaria capillare come la Ncaa americana.

E in Italia? Qualcosa ha iniziato a muoversi e alcuni atenei, da Roma Tor Vergata alla Luiss, da Salerno alla Liuc, si sono dotati di strutture sportive. Tuttavia questi tentativi rimangono in mezzo al guado: la squadra di basket di serie C1 della Luiss gioca, per esempio, in una tensostruttura che non farebbe una grande figura fotografata e messa su un sito web. Anche se rimane vero cheuna tensostruttura è meglio di niente. Nono-stante questi tentativi sembra ancora che le comunità delle grandi città e degli studenti stranieri e italiani che frequentano i nostri atenei stiano aspettando il first-mover. C’è qualcuno che vuole farsi avanti?

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