OPINIONI |

Straordinari al posto di assunzioni

DA GENNAIO 2008 A OTTOBRE 2009 LA DISOCCUPAZIONE AMERICANA è RADDOPPIATA AL 9,8%

di Maurizio Del Conte, professore associato di diritto del lavoro alla Bocconi

Secondo quanto rilevato dal Bureau of labor statistics, negli Stati Uniti i disoccupati hanno superato i quindici milioni nel mese di ottobre del 2009, portando così il tasso di disoccupazione al 9,8%, cioè esattamente il doppio rispetto al dato del gennaio 2008. Ma ciò che preoccupa di più gli analisti americani è la previsione secondo la quale, anche a fronte di una prossima ripresa dell’economia, ci vorranno anni per recuperare l’occupazione persa in conseguenza della recessione.

Dunque il mercato del lavoro statunitense, considerato fra i più flessibili del mondo, si è dimostrato rapidissimo nella espulsione della manodopera in esubero, ma non sembra essere altrettanto reattivo nel suo reimpiego. Le imprese americane, anche a fronte di significativi segnali di miglioramento della propria performance, si muovono con grande prudenza sul fronte delle assunzioni, preferendo allungare, spesso a dismisura, l’orario di lavoro del personale già occupato piuttosto che aumentare il proprio stock di lavoratori.
 
Questo dato porta a riflettere sulla fragilità di certi luoghi comuni sulla presunta correlazione fra tutele legali del lavoro e rigidità delle dinamiche del mercato. In Italia, in particolare, l’infinito dibattito sulle possibili riforme del diritto del lavoro è stato troppo spesso condizionato dal dogma secondo cui la rigidità della legge in materia di licenziamenti costituirebbe la principale causa delle inerzie del mercato del lavoro e delle sue conseguenti disfunzioni.
 
Sotto questo profilo, il caso americano dimostra come i comportamenti delle imprese in materia di reclutamento del personale siano, in realtà, assai poco sensibili all’ordinamento giuslavoristico. Infatti, se negli Stati Uniti le imprese preferiscono non assumere, ciò non dipende certo dai limiti imposti dalle regole in materia di licenziamenti, che in America restano per lo più lasciati alla libera volontà del datore di lavoro.
 
Da più parti si sono ricercate nella esperienza americana della Grande Depressione indicazioni utili per affrontare la crisi attuale. Allora, la fondamentale intuizione di Franklin Delano Roosevelt fu che, per ridare fiducia alle imprese, riportare i lavoratori nelle fabbriche e far ripartire il paese, fosse necessario riequilibrare il patto sociale americano, messo in crisi da un ormai insostenibile sbilanciamento di potere e ricchezza fra capitale e lavoro. Nello spirito del New Deal, nel 1935 il Congresso degli Stati Uniti varò il National labor relations act, una legge che, lungi dal rimettere allo stato il controllo sul mercato del lavoro, si limitava a sostenere una più libera ed efficace azione sindacale: il mercato ritrovava, in tal modo, i suoi veri protagonisti e, quindi, si riavvicinava alla società, favorendo così una lunga fase di prosperità.
Da 1935 ad oggi è cambiato il mondo, ma le esigenze di uno sviluppo economico socialmente sostenibile sono rimaste le stesse di allora. Non è un caso che la nuova amministrazione americana si sia impegnata a varare l’Employee Free Choice Act, una legge che rilancia il ruolo del sindacato, il cui progressivo declino ha fatto venire meno ogni forma di controllo sociale nella creazione e nella redistribuzione della ricchezza.
Così, mentre negli Stati Uniti si punta a uscire dalla crisi richiamando pragmaticamente le parti sociali a maggiori responsabilità, in Italia si continua a profondere risorse e tempo prezioso nell’affannosa ricerca di una improbabile “legge ideale” che, per mano dello stato, risolva graziosamente i problemi del lavoro.

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