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Opinioni Carceri

Al lavoro, per non essere recidivi

, di Filippo Giordano
Coinvolgere i detenuti in attività di formazione e opportunità lavorative, oltre a rientrare negli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030, abbatte il rischio che tornino a delinquere. Ma le imprese non rispondono all'appello tradendo i valori di diversity e inclusion

La mancanza di un impiego è riconosciuta come uno dei fondamentali fattori di rischio per la delinquenza, e per la recidiva, una volta usciti del carcere. In questo senso, le attività lavorative e di formazione al lavoro possono avere un impatto significativo sulla recidiva, principalmente attraverso due canali. In primo luogo, il fatto che un detenuto partecipi ad un'attività di questo tipo ne segnala la propensione positiva a potenziali futuri datori di lavoro, arricchendone il curriculum e facilitando quindi l'eventuale assunzione. In secondo luogo, aver lavorato dona al detenuto esperienza e abilità che aumentano le chance di mantenere il posto una volta assunti. Le attività trattamentali in carcere, specie quelle di tipo lavorativo, si innestano nell'ambito degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalla comunità internazionale attraverso l''Agenda 2030, in linea con i Sustainable Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite. 

L'accesso all'istruzione, al lavoro e alla formazione mentre si è in carcere - o mentre si scontano sanzioni non detentive - contribuisce non solo all' Obiettivo 1 (Povertà Zero) ma anche all'Obiettivo 4 degli SDG, ovvero fornire istruzione di qualità e opportunità di apprendimento per tutti, e all'Obiettivo 8, ossia la promozione di una crescita economica inclusiva caratterizzata da piena e produttiva occupazione e da un lavoro dignitoso per tutti. Fornire opportunità di lavoro e formazione ai detenuti è infatti importante per combattere, attraverso attività significative, l'ozio forzato e il senso di apatia e noia tipicamente indotti dalla condizione detentiva, e migliorare al contempo le loro prospettive di lavoro post rilascio, spesso purtroppo scarse. Perché ciò avvenga, è necessario che il lavoro sia di alto valore professionale, oltre ad essere svolto in condizioni sicure e con le dovute tutele. Affinché le attività lavorative e di formazione implementate in ambito penitenziario siano effettivamente in grado di migliorare le prospettive occupazionali delle persone detenute, è necessario il coinvolgimento, esplicitamente previsto del legislatore italiano (art. 17 Ordinamento Penitenziario), di attori esterni al mondo penitenziario. 
In particolare, nel caso delle attività di formazione e lavoro, l'intervento del mondo dell'impresa risulterebbe prezioso nel garantire, in primo luogo, il matching tra formazione erogata ai detenuti e skill richieste del mondo del lavoro, ed in secondo luogo per assicurare, in caso di collaborazione proficua col detenuto, un suo inserimento diretto nel mondo del lavoro in seguito al rilascio.

I dati però ci indicano che le imprese sono poco impegnate nella causa sociale dell'inserimento lavorativo di queste persone e quindi del contrasto alla recidiva. Secondo i dati del ministero nel 2022 solo lo 0,4% delle persone detenute, a fronte di una popolazione carceraria al 31 dicembre di 56.196, hanno avuto una collaborazione lavorativa con imprese. La maggior parte, comunque meno del 5% delle opportunità lavorativa non proveniente dall'Amministrazione Penitenziaria, è offerta da cooperative sociali.

La poca presenza delle imprese in carcere è imputabile certamente ad una difficoltà di dialogo con l'amministrazione penitenziaria, sia per la diversa cultura organizzativa sia per la necessità di ricavare e adattare spazi per le attività, ma è anche sintomo dello stigma sociale e del pregiudizio culturale presente nella società, pregiudizio legato alla non conoscenza di questo mondo. Eppure, l'impatto sociale che le imprese potrebbero generare è ampio non solo rispetto al richiamato contributo agli SDGs ma anche alla riduzione dei costi sociali della recidiva, al miglioramento della sicurezza sociale e della legalità. Inoltre collaborare con le carceri o essere partner di cooperative sociali già attive negli istituti aiuterebbe a favorire nel proprio contesto lavorativo una cultura dell'inclusione e quindi a dare un significativo contributo alla politiche D&I dell'impresa.




 

FILIPPO GIORDANO

Bocconi University
Dipartimento di Management e Tecnologia

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