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L'anno delle elezioni

, di Andrea Costa
Con 76 paesi e meta' della popolazione mondiale chiamata alle urne, il 2024 e' gia' un anno storico: per l'imprevedibilita' dei risultati, perche' le scelte che verranno fatte in alcune nazioni, dagli Stati Uniti al Regno Unito, avranno importanti ripercussioni a livello geopolitico ma anche sul cambiamento climatico. E perche' anche piccoli stati come il Belgio sono strategici. Come spiega la politologa Catherine De Vries

Quest'anno andranno alle urne ben 76 Paesi in tutto il mondo, tra cui otto dei dieci Paesi più popolosi. Per la prima volta nella storia, quindi, più della metà della popolazione mondiale sarà chiamata a votare e più persone voteranno quest'anno che in qualunque anno passato. Tuttavia, non tutte le elezioni sono uguali: tra i Paesi nel Democracy Index dell'Economist Intelligence Unit, solo 43 avranno votazioni pienamente libere (27 dei quali sono membri dell'UE), mentre altri 28 non soddisfano le condizioni necessarie.
Se da un lato la più grande democrazia del mondo, l'India, terrà elezioni ragionevolmente libere, dall'altro non ci sono speranze che ciò accada in Russia, dove Vladimir Putin non permette una vera opposizione. Anche in una democrazia tradizionalmente solida come gli Stati Uniti, la possibilità di una vittoria di Trump è sufficiente a causare preoccupazione.
Ma anche con così tante elezioni in corso, sarebbe sbagliato considerare solo gli attori più grandi della scena geopolitica, afferma Catherine De Vries in questa intervista: "Un Paese complesso come il Belgio sarà anche piccolo, ma non deve essere trascurato."

La politologa Catherine De Vries è titolare della Generali Endowed Chair in European Policies - Shaping Leadership in Europe e Prorettrice per l'Internazionalizzazione della Bocconi. Ha dedicato la sua attività di ricerca al comportamento politico, l'economia politica e la politica dell'UE. I suoi articoli sono stati pubblicati in molte delle principali riviste di scienze politiche. Il suo primo libro, Euroscepticism and the Future of European Integration (Oxford University Press, 2018), ha ricevuto lo European Union Studies Association (EUSA) Best Book in EU Studies Award nel 2019 ed è stato inserito dal Financial Times tra i primi 5 libri sul futuro dell'Europa.

Il 2024 è davvero così straordinario? Abbiamo già visto un altro anno con così tante elezioni importanti?

No. Almeno non da quando ho iniziato a studiare e ricercare la politica e i processi elettorali. Dal punto di vista degli scienziati della politica, questo sarà un anno estremamente interessante.

A parte il numero di elezioni che si svolgeranno, quali sono i motivi per seguirle da vicino?

Le elezioni non si svolgono nel vuoto pneumatico. Guardiamo a ciò che il mondo ha vissuto negli ultimi cinque anni, che è all'incirca la durata di un ciclo elettorale: la pandemia Covid, Black Lives Matter in America, la guerra in Europa e ora un'altra guerra in Medio Oriente. Tutto questo, così come le crescenti ricadute del cambiamento climatico, avranno un ruolo nel determinare il modo in cui le persone voteranno. Tutto questo avviene in un momento di accelerazione dei flussi di informazione, il che significa che anche la disinformazione scorre istantaneamente. Valutare in che misura questi fattori influenzeranno i risultati sarà un compito estremamente complesso, ma altrettanto stimolante per chi studia le elezioni.

Lei ha parlato di cambiamento climatico. Come influisce sulle elezioni nazionali?

Il cambiamento climatico è l'esempio perfetto di una questione fondamentale che non può essere gestita a livello nazionale, eppure i cittadini normalmente votano per un'assemblea nazionale. Ciò che i singoli Paesi sono disposti a fare per combattere il cambiamento climatico conta quando si negozia un accordo internazionale, ma non è necessariamente qualcosa su cui i cittadini hanno votato. E ci sono molti altri esempi di interdipendenze perché, in un mondo interconnesso, i problemi non si fermano ai confini, ma le elezioni, ad eccezione del Parlamento europeo, avvengono all'interno dei confini.

Quali le elezioni più importanti?

Per noi europei, le elezioni parlamentari europee saranno le più importanti. Le sfide, come il cambiamento climatico e la guerra, sono un forte avvertimento che l'Europa deve assumersi maggiori responsabilità per il proprio destino, ma questo cambiamento deve partire dai cittadini. Alla fine dell'anno anche gli americani si recheranno alle urne e questo naturalmente significherà molto anche per l'Europa, soprattutto se a vincere sarà un personaggio come Donald Trump. Infine, anche il Regno Unito andrà alle urne, forse più o meno nello stesso periodo. L'esito di queste elezioni sarà importante per la definizione delle relazioni UE-Regno Unito dopo la Brexit.

Cosa rende le elezioni di oggi diverse da quelle del passato?

Le previsioni sono molto, molto più difficili oggi, per una ragione soprattutto: le intenzioni di voto delle persone sono diventate così volatili che produrre una proiezione affidabile è più difficile che mai. E questo comprende anche la decisione stessa di votare, quindi prevedere l'affluenza alle urne sta diventando sempre più un problema. Fino a tempi relativamente recenti, la maggior parte degli elettori rimaneva fedele a un partito per tutta la vita. Questa mentalità è finita. Le cosiddette roccaforti dei partiti diventano ogni giorno più rare, poiché gli elettori più anziani e più fedeli vengono sostituiti da persone più giovani e volubili, sempre più risentite per il deterioramento della qualità della vita e per il senso di insicurezza e quindi disilluse verso i partiti tradizionali.

Tutto questo potrebbe spiegare almeno in parte l'ascesa del populismo?

Come ho detto, definire cause ed effetti non è così semplice. Le radici del populismo, e del populismo di destra in particolare, sono un argomento molto dibattuto tra gli scienziati della politica. Ma diciamo che in un'epoca segnata dall'incertezza, è comprensibile che le persone cerchino risposte definitive ai loro problemi. Il populismo di destra, almeno nei Paesi occidentali, è alimentato da due preoccupazioni principali. Una è la paura di impoverirsi a causa della chiusura delle fabbriche e della delocalizzazione dei lavori meno qualificati. L'altra è quella di perdere la propria identità, dato che le società diventano multiculturali e si diffonde il pensiero "noi contro loro". Si tratta di un mix potenzialmente molto pericoloso, anche se dovremmo distinguere tra partiti "radicali", che usano un linguaggio molto forte ma accettano di giocare rispettando le regole, e partiti "estremisti" che vogliono più o meno apertamente sovvertire queste regole. A volte i partiti radicali ammorbidiscono le loro posizioni una volta al potere. Lo abbiamo visto in Italia e potremmo vedere lo stesso nei Paesi Bassi (che, per inciso, è il mio Paese di nascita), dove un partito populista di destra ha vinto le elezioni generali ma non può governare da solo. Quindi, l'ambiguità è su quanto siano disposti ad andare fino in fondo: c'è un trade-off per questi partiti tra la polarizzazione di cui si nutrono e gli inevitabili compromessi che governare comporta.

C'è qualche Paese che non dovremmo trascurare?

Direi il Belgio. È facile guardare al Belgio come a un Paese molto piccolo rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito, ma questo non è importante dal punto di vista del ricercatore. Il Belgio presenta molte linee di frattura: sinistra contro destra, populisti contro partiti tradizionali e, naturalmente, Fiandre contro Vallonia. Si prevede che un partito populista fiammingo, il Vlaams Belang, farà grandi progressi alle prossime elezioni federali in Belgio, e ciò che accadrà in seguito sarà da tenere d'occhio. E poi non dimentichiamo che la maggior parte delle istituzioni europee ha sede a Bruxelles.



Per saperne di più

Catherine E. De Vries-Sara B. Hobolt, "Political Entrepreneurs: The Rise of Challenger Parties in Europe", Princeton University Press, 2020

Simone Cremaschi-Paula Rettl-Marco Cappelluti-Catherine E. De Vries, "Geographies of Discontent: Public Service Deprivation and the Rise of the Far Right in Italy", Harvard Business School, working paper

Catherine De Vries, "Migration crackdowns won't help Europe's moderate right", Financial Times, 4 dicembre 2023

"Perché le difficoltà economiche alimentano il sostegno all'estrema destra", Bocconi Knowledge, 21 febbraio 2023