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Stop al mercato tutelato, l'Italia colma il ritardo

, di Davide Ripamonti
Prima il gas e poi l'energia elettrica cesseranno dal 2024 la loro condizione di beni tutelati dall'authority e saranno governati solo dalle leggi di mercato. Come avviene praticamente ovunque e con probabili vantaggi, come spiega Matteo Di Castelnuovo

Liberalizzazioni, ovvero lo spauracchio. In Italia è così, simili in questo ai cugini francesi ma molto distanti dai paesi anglosassoni e da quelli nordici in particolare, dove il libero mercato non spaventa, anzi è visto come un'opportunità. Dal 2024 (gennaio per il gas, aprile per l'energia elettrica) termina anche nel nostro paese l'era del mercato tutelato per gli utenti privati e si passa a quello libero per tutti o quasi, con l'eccezione di alcune fasce deboli e per questo protette. Una decisione già rimandata più volte ma che adesso, anche per la spinta pressante dell'Unione Europea, pare definitivamente presa. Ma che cosa cambierà in concreto per il mercato e per i consumatori? Ne parla in questa intervista Matteo Di Castelnuovo, SDA Bocconi Associate Professor in Energy Economics presso l'ateneo di via Sarfatti e presidente dell'Associazione italiana economisti dell'energia.

L'ora X è vicina, il mercato tutelato per il gas e l'energia elettrica ha le ore contate. Si chiude forse questa vicenda, anche se i timori nell'opinione pubblica sembrano maggiori rispetto alle speranze di chi guarda con fiducia a questa transizione per certi versi epocale.
Mi sento di dire che le paure sono ingiustificate e che la fine del mercato tutelato sia una cosa positiva. Nel 2022, per esempio, chi aveva già optato per il mercato libero ha speso meno di chi è rimasto nel tutelato. In generale, ci sono due ragioni per le quali le tariffe possono crescere: la prima è l'aumento del costo della materia prima (ma allora crescono anche i prezzi sul mercato tutelato), la seconda porterebbe a un problema di concorrenza, il che vorrebbe dire che l'Authority non ha vigilato, ma la ritengo una possibilità molto remota.

Un provvedimento che arriva con anni di ritardo. Ci fa il riassunto della vicenda?
L'iter di liberalizzazione del mercato è stato avviato nel 1999 e nel 2007, con il Decreto Bersani bis, si è avuta la completa liberalizzazione del mercato energetico, aprendolo a nuovi fornitori e permettendo agli utenti di scegliere liberamente il proprio fornitore. Il quadro regolatorio prevedeva però un periodo di coesistenza del mercato libero e di quello regolato per permettere ai consumatori di effettuare un passaggio graduale e agevole. La fine del servizio di maggior tutela è stata più volte rimandata, ma adesso dovremmo esserci.

Per quali motivi si è atteso così tanto?
Perché questa vicenda è stata strumentalizzata politicamente per l'idea malsana di proteggere il consumatore. In realtà, anche con la fine del servizio di maggior tutela le fasce deboli saranno protette, mentre, come dicevo prima, non mi aspetto chissà quali rincari delle tariffe. Bisognerebbe guardare a quanto accaduto nella telefonia, per esempio. L'unica vera decisione un po' delicata sarà: prezzo fisso o variabile? Un po' come accade per i mutui.

Come fare a orientarsi nella scelta dei propri fornitori? Quali sono i parametri da guardare?
Il portale dell'Arera riporta tantissime opzioni. E conoscendo la serietà con cui opera la nostra authority posso affermare che siano state attentamente testate. Stiamo parlando di circa 600 realtà per il gas e 500 per l'energia elettrica, che sono sia aziende conosciute del settore, sia realtà microscopiche e sconosciute ai più, sia grandi player, come per esempio Poste Italiane e Wind, che non hanno propri asset di produzione. La prima cosa che dobbiamo chiederci è se vogliamo solo la materia prima, cioè il gas e l'energia elettrica, o anche alcuni servizi aggiuntivi che molte aziende propongono. Poi, anche in base a questo, effettuare la propria scelta facendo bene attenzione alle clausole del contratto.

C'è chi sostiene che se importassimo meno dall'estero le tariffe sarebbero più basse. E' corretto?
No, per niente. Intanto bisogna distinguere: il gas dobbiamo importarlo perché non l'abbiamo, per quanto riguarda l'energia elettrica importiamo circa il 15% del nostro fabbisogno e in alcuni momenti addirittura la esportiamo. L'energia elettrica è neutrale e si va prendere dove costa meno, se costa meno in Italia la prendo in Italia, se costa meno dal reattore nucleare francese la prendo lì, se il reattore nucleare è bloccato o c'è congestione sulle interconnessioni o qualche altro fenomeno, devo prenderne di più da un'altra centrale.

Tornando alla scelta del fornitore a cui affidarsi, ci sono considerazioni diverse da fare per gas ed energia elettrica?
Il tema gas spaventa molto perché richiama subito quello del riscaldamento domestico cui siamo tutti molto sensibili. Ma in generale direi di no, le considerazioni sono le stesse e soprattutto teniamo presente che le aziende consigliate dall'Arera hanno tutte sostenuto severi test e hanno dimostrato di avere la competenza, anche finanziaria, e le garanzie bancarie per poter operare in un mercato ad altissima volatilità. Va posta attenzione al costo del kilowatt ora, alla durata del contratto e in generale mi sento di sconsigliare quegli operatori, di solito intermediari, che attuano una strategia telefonica molto aggressiva. Un consiglio generale è che cambiare fornitore, se lo facessimo in tanti, porterebbe a una pressione verso il basso e a tariffe più convenienti. Per sdrammatizzare, però, voglio citare uno dei maggiori esperti di politica dell'energia al mondo, Dieter Helm, della University of Oxford, che sostiene che ci siano modi migliori di trascorrere le proprie serate che non quello di passare ore a cercare il proprio fornitore di energia.

Ha toccato prima il tema delle centrali nucleari. Quelle di quarta generazione, in particolare, producono energia a costi molto bassi. Può essere la soluzione?
Il tema nucleare è delicato perché polarizza molto le posizioni. Ci sono motivazioni economiche che spingerebbero in quella direzione, ma guidate sempre dalle scelte politiche. Per quanto mi riguarda, posso affermare che non si tratterebbe di una scelta economica che emerge dalle dinamiche di mercato. Il problema più grande è la tempistica, che non è compatibile con quanto ci viene richiesto dall'emergenza climatica e dagli impegni che abbiamo assunto in questo senso, soprattutto per un paese nel quale non bastano sette anni per impiantare una pala eolica. E poi i costi, che sarebbero altissimi e lunghi da ammortizzare, considerando anche che abbiamo smantellato l'intera filiera.