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Javier Milei, l'uomo nuovo. Forse troppo

, di Davide Ripamonti
Il neoletto presidente argentino annuncia un radicale cambiamento di rotta in tema di economia e relazioni internazionali per portare il paese fuori dalle secche. Ma avra' la forza per farlo? Ne parliamo in questa intervista con Antonella Mori

Un cambiamento di rotta forse necessario, vista la situazione economica in cui, da troppo tempo, versa il paese. Ma un cambiamento allo stesso tempo in parte non atteso, non perlomeno in maniera così dirompente. Le elezioni che si sono svolte il 19 novembre in Argentina hanno portato all'elezione di Javier Milei con un risultato numerico al di là di ogni previsione, visto che i sondaggi davano i contendenti su un piano di equilibrio. Forse essere il ministro dell'economia uscente di un paese economicamente in crisi, come fatto notare da molti, non ha giovato al candidato peronista Sergio Massa. Di questo e delle prospettive del paese sudamericano parliamo in questa intervista con Antonella Mori, docente presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche dell'Università Bocconi ed esperta di America Latina.

Quello che ha sorpreso tutti sono state le dimensioni del successo di Milei. Come è potuto accadere?
Quasi 12 punti di scarto sono un abisso francamente imprevedibile alla vigilia, quando l'ipotesi più gettonata era un testa a testa all'ultimo voto. Va anche detto però che fin da subito, dopo l'esito del primo turno, sia la candidata di Insieme per il cambiamento, Patricia Bullrich, rimasta fuori dal ballottaggio, sia l'ex presidente Mauricio Macri hanno dato il loro appoggio a Milei. Un fatto che ha pesato, così come la forte popolarità di Milei tra i giovani, che ha saputo conquistare anche grazie a una campagna social molto ben orchestrata.

E allora perché, fatte le considerazioni di cui sopra, si propendeva per una situazione d'incertezza?
Perché non si sapeva se gli elettori moderati della Bullrich avrebbero votato un personaggio per certi versi estremo. La domanda era: seguiranno le indicazioni di votare Milei o ne saranno spaventati? Anche perché l'alternativa, cioè Massa, tra i peronisti era considerato un candidato moderato e poteva quindi rappresentare per loro un'opzione credibile. I risultati ovviamente ci dicono che hanno ascoltato le indicazioni.

Chi è innanzitutto Milei?
Lui si definisce "anarco-capitalista". Di sicuro, visto il suo passato di commentatore televisivo, è un personaggio molto abile nell'intrattenere il pubblico. E ha convinzioni forti, nonché un programma politico chiaro che cercherà di mettere in atto nonostante la debolezza in Parlamento, che lo costringerà a continue e sfiancanti ricerche di alleanze.

Meno Stato, soprattutto in economia, è uno dei suoi mantra.
Nel suo programma è stato chiaro: allo Stato vanno lasciati alcuni compiti molto importanti, come per esempio la difesa, mentre ai privati va concessa grande libertà d'azione. Ha già annunciato che taglierà la spesa pubblica del 15%, che è tantissimo, e che ridurrà e accorperà i ministeri, che saranno in tutto otto. Sarà dato grande impulso alle privatizzazioni che saranno molto estese e comprenderanno anche l'industria petrolifera.

Un altro cavallo di battaglia di Milei è la cosiddetta dollarizzazione.
Io su questo sono più scettica. Ha anche annunciato che vuole abolire la banca centrale, ma rinunciare alla politica monetaria vuol dire, per un paese grande come l'Argentina, rinunciare a un importante strumento di politica economica. Alla banca centrale sarà data più autonomia e per quanto riguarda la dollarizzazione penso che la soluzione più attuabile sia quella prospettata dalla Bullrich, cioè rendere il dollaro valuta legale insieme al peso. Credo che Milei in questo caso non avrebbe la forza di far approvare in Parlamento la sua visione più estrema.

Veniamo alla politica estera. In campagna elettorale Milei ha dichiarato l'intenzione di interrompere i rapporti con i paesi a guida socialista e comunista. Tra questi, però, ci sono i principali partner commerciali del paese, cioè Cina e Brasile. Cosa succederà?
Intanto diciamo subito che i migliori amici dell'Argentina di Milei saranno gli Stati Uniti di Biden e ancor più di Trump, se davvero l'ex presidente dovesse tornare in carica con le elezioni del prossimo novembre (non a caso Trump è stato tra i più calorosi a complimentarsi con Milei), e Israele. Per quanto riguarda Cina e Brasile in particolare, una cosa sono i rapporti diplomatici, che verranno ridotti come dichiarato da Milei in campagna elettorale, un'altra quelli economici, che invece secondo me non subiranno ripercussioni. Impedire a un produttore argentino di vendere in Brasile, per esempio, sarebbe una contraddizione con la teoria del minor ruolo dello Stato in economia. Credo che Milei in questo sarà coerente. Così come credo che non farà entrare l'Argentina nei Brics allargati, non dando quindi seguito alla decisione presa lo scorso agosto. Ci saranno grossi cambiamenti dal punto di vista delle relazioni diplomatiche anche se bisogna dire che quando in Brasile c'era Bolsonaro e in Argentina il governo peronista i rapporti non sono mai stati interrotti.

C'era davvero bisogno di un cambiamento così drastico?
Che ci fosse bisogno di un cambiamento è fuori di dubbio. L'Argentina è un paese abituato ad avere un'inflazione alta, ma una cosa è il 15%, un'altra il 150% che c'è adesso, destinato peraltro ad aumentare. Un cambio di rotta è necessario, vedremo se quello di Milei non sarà troppo drastico.

Un tema delicato, su cui Milei si è espresso in termini non rassicuranti, è quello dei cambiamenti climatici.
Lui è negazionista in questo senso, come Trump, come Bolsonaro. Non imputa cioè i cambiamenti climatici all'attività umana. Per fortuna, a differenza di Bolsonaro, che in Brasile controllava il polmone verde più grande del mondo, cioè la foresta amazzonica, lui non ha questo potere e l'Argentina non è cruciale per i cambiamenti climatici come lo è il Brasile.