Alberto: il ricordo dei suoi allievi
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Alberto: il ricordo dei suoi allievi

L'UOMO DIETRO IL RICERCATORE, L'AMICO DIETRO IL COLLEGA. GLI STUDENTI CHE HANNO CONDIVISO PARTE DEL SUO VIAGGIO, NEGLI ANNI, RICORDANO IN TANTI ANEDDOTI DIVERSI L'ECONOMISTA DI HARVARD

Silvia Ardagna
Alumna Bocconi 1995
Chief European Economist Barclays
Alberto Alesina: una delle menti più brillanti della professione economica, l'anima più bella per una numerosa generazione di suoi figli e figlie intellettuali. I suoi scritti e i suoi libri immortali formeranno e ispireranno le future generazioni di economisti. Il mio impegno per onorare la sua memoria è quello di nutrire i giovani con la stessa dedizione e generosità con cui Alberto ha nutrito me. Il mio dolore è che le nuove generazioni non possano essere ispirate dalla luce, dalla profondità, dalla curiosità, dall'entusiasmo per la ricerca e per la vita che trasparivano dal suo occhio. La mia gioia è poter citare LUI: "uhm ... (Alberto si gratta i capelli quando pensa alle GRANDI idee e alle domande difficili) ... questo problema è ... una cosuccia", "Smettila di cincischiare", "Non sbagliare come fai di solito", "Ci hanno citato?", "Quando smettono di citarti, ma citano il contenuto del tuo lavoro, sai che hai fatto la differenza nel mondo", .... Alberto, TVB! 

Michela Carlana 
Alumna Bocconi 2018

Assistant Professor of Public Policy Harvard Kennedy School 
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci ispiri a fare del nostro meglio. Alberto è stato un grande mentore, sempre pronto ad ascoltare le idee e a far sentire tutti gli studenti benvenuti nella comunità accademica. La prima volta che l'ho incontrato è stato durante il terzo anno di dottorato alla Bocconi. Durante una delle sue visite in Italia, è venuto al mio seminario a pranzo e dopo si è fermato a parlare con me generosamente per un'ora dei miei interessi di ricerca, l'istruzione e la politica dell'immigrazione. Si fidava e credeva nelle persone dopo il primo incontro. Come per molti altri, non solo mi ha offerto l'opportunità di visitare Harvard, ma mi ha fatto sentire veramente la benvenuta nella sua famiglia accademica, durante i seminari ad Harvard, le riunioni dell'NBER e le cene con Susan a casa loro.  Nelle nostre conversazioni, mi ha spinto a pensare a grandi idee, al di là della “identification police”, spesso iniziando con una battuta. Era generoso e premuroso e ha aperto la strada a generazioni di economisti.
 
Leonardo D’Amico
Alumnus Bocconi 2018
PhD Candidate in Economics at Harvard University
Alberto non era solo un grande mentore, era un appassionato sostenitore. Scommetteva sui suoi studenti e teneva fede a quella scommessa in vari modi complementari. Intellettualmente, Alberto ti spingeva a perseguire domande ambiziose, a liberare la curiosità, e nulla sembrava fuori portata dopo aver parlato con lui. E c'è da dire che spesso credeva più lui di noi nella nostra possibilità di rispondere a queste domande. Quando gli dicevo che mi sembrava difficile adattare un modello ad un nuovo contesto, mi diceva: “E se non riesci tu!”. Devo dire che lo trovavo irragionevole (e in effetti non sempre aveva ragione) però mi dava voglia di provarci con fiducia e ottimismo, sapendo che in ogni caso il suo supporto non si sarebbe affievolito.
Non ci si sentiva mai a disagio nell'esprimere un'idea per un progetto e Alberto aveva la pazienza di guidare la conversazione per identificare l'intuizione chiave, il meccanismo semplice ma interessante che doveva essere alla base del progetto. Era quel suo modo speciale di fare ricerca, che ha lasciato come eredità indelebile. Quel modo di fare ricerca che ti fa sentire felice di essere un economista.
Oltre ad essere un ottimo advisor, però, Alberto era anche un amico che ti faceva sentire supportato e apprezzato. Fra una battuta e l'altra, sempre accompagnate da una stretta sul braccio, Alberto rendeva naturale il parlare in modo trasparente di timori, frustrazioni, speranze e gioie. Ti faceva sentire supportato come persona, non solo come ricercatore. Non è difficile fare un ritratto di Alberto come mentore e guida: Alberto era un gigante, un gigante che sedeva saldamente nel tuo angolo, pronto a sostenerti per farti scoprire il meglio di te stesso.
 
Enrico Di Gregorio
Alumnus Bocconi 2014
post-doctoral fellow al National Bureau of Economic Research a Cambridge, Massachusetts
È semplice da dire. Tutti i luoghi da cui proveniamo sono dietro di noi, dentro di noi. È la piccola città dimenticata da Dio, ai margini del mondo. È la scuola superiore dove lasciavamo scorrere le ore. Siamo entrati nel mondo accademico con la speranza di contare qualcosa, di dire ciò che andava detto. Di indagare su ciò che doveva essere indagato. 
I nostri luoghi. 
Ma se riuscissimo a vedere attraverso l'essenza di queste domande, come ci insegna sempre il nostro consulente, sarebbe allora facile capire. Alberto, per noi, è il luogo in cui vorremmo andare. 
Da quando è arrivato ad Harvard, proprio come molti di noi, Alberto ha attraversato con grazia due mondi, l'America e l'Italia, a volte incompatibili, a volte uno che alimenta l'altro. La sua ampia identità, la sua passione incrollabile, il suo amore perenne, hanno scavato una casa in chiunque incontrasse. Le dimensioni della sua nazione sono endogene al nostro valore, alla nostra compagnia. Non con arroganza, con forza. Con il tempo si è posato sui tuoi pensieri, fino a conquistarti. 
Alberto è il luogo in cui vorremmo andare, perché ha senso dichiarare oggi che ciò che volevamo da tutto questo era solo la possibilità di dire, quando la luce dell'ufficio si spegne e usciamo, che la giornata è stata l'avventura che lui e noi avevamo sognato. 
Alberto è quel posto perché la sua vita è stata fantastica. Non si trattava di macinare il processo di peer review, né della paura e della gioia del palcoscenico della classe, né delle occasionali liti e riconciliazioni con un discussant troppo zelante. Era fantastico perché la semplicità del suo lavoro poteva trasformare il mondo. 
E così è stato. Dal posto di Alberto si vedeva chiaramente che la riforma, come la rivoluzione, era a portata di un solo progetto. Che ciò che i suoi colleghi ritenevano irrilevante poteva diventare necessario. Che una semplice idea che ti viene in mente come un sussurro non dovrebbe mai tramontare nel cuore della notte, se hai amici come lui che la porterebbero in salvo fino alle prime luci dell'alba. 
E questo lo vediamo chiaramente di Alberto, anche se non lo abbiamo conosciuto come tutti voi, con il tempo, con l'esperienza, con i legami profondi che scorrono nel sangue. Lo vediamo chiaramente perché il suo posto era facile da trovare. Il posto di Alberto risplende tranquillo davanti a noi come lui voleva che lo vedessimo.  
I suoi luoghi. 
Dopo il primo anno di dottorato, Alberto tornò in Italia con una sosta a Bruxelles. Durante la sua breve sosta, arrivò in centro e si sedette su una panchina, facendo finalmente il punto sulle avventure che aveva vissuto. Una volta trovato il suo posto, il nostro posto, ci sediamo con Alberto. Ci saluterà con un sorriso. Non una parola da aggiungere. Ci limiteremo a dire, come avrebbe fatto lui, "che avventura è stata". 
 
Matteo Ferroni 
Alumnus Bocconi 2016
PhD Candidate in Economics at Boston University 
La prima volta che incontrai Alberto fu nel 2015. All’epoca ero ancora uno studente di specialistica in Bocconi e un giorno lui venne ad assistere ad un seminario di studenti del PhD. Con me c’erano una quindicina di altri miei compagni di corso e anche per loro era la prima volta che incontravano Alberto. Eravamo tutti seduti intorno a un grande tavolo e ricordo che, prima dell’inizio del seminario, ci chiese di presentarci tutti uno ad uno e di raccontargli in che aree di ricerca fossimo più interessati. 
Già da quel primo giorno capii quanto avesse a cuore gli studenti. 
L’anno seguente, iniziai a lavorare come suo assistente e ricordo benissimo come, durante il periodo in cui stavo facendo domanda per vari programmi di dottorato, mi mandasse sempre email chiedendo di aggiornarlo su come stesse andando il processo. Quando fui ammesso alla Boston University, mi disse subito che sarei assolutamente dovuto venire a Boston così avremmo potuto lavorare insieme e che sarebbe stato il mio advisor. Alla fine non solo diventò mio advisor e coautore, ma soprattutto mio amico. 
Ricordo con affetto le giornate passate a casa sua a lavorare insieme. Spesso mi diceva con allegria che lavorare sul nostro progetto lo faceva sentire di nuovo uno studente. E anch’io sentivo lo stesso, mi sembrava di star lavorando con un mio compagno ed amico, non con un professore del suo calibro. 
Penso che la sua capacità di instaurare rapporti speciali con gli studenti fosse proprio dovuto a questo, il suo non aver mai smesso di sentirsi uno studente pure lui.  
Alberto trovava sempre tempo per parlare con gli studenti. Una volta, gli chiesi se potessimo vederci per aggiornarlo sulla mia ricerca. Io mi aspettavo che mi avrebbe dato un appuntamento nei giorni successivi, ma invece andò subito dalla sua segretaria, le chiese di spostare una riunione che avrebbe avuto di lì a breve e ci mettemmo subito a parlare del mio progetto. Ma non faceva questo solo con i suoi studenti. Nel corso degli anni ho conosciuto tantissimi altri studenti che, anche se di campi completamenti diversi, almeno una volta erano andati a parlare con lui. Non esagero nel dire che probabilmente è stato il professore che ha interagito con il maggior numero di studenti.  
Quando cominciò il lockdown, iniziammo a sentirci regolarmente al telefono. Mi chiamava ogni due giorni e passavamo sempre almeno venti minuti a chiacchierare del più e del meno prima di metterci a parlare di lavoro. Mi chiedeva sempre come stessi ma spesso mi chiedeva anche come altri studenti che conoscevo stessero. Voleva sempre assicurarsi che stessimo tutti bene. 
Per lui, noi studenti eravamo sempre la sua priorità, e questa sua generosità nell’esserci sempre incondizionatamente manca immensamente a tutti noi. 
 
Pierfrancesco Mei
Alumnus Bocconi 2018
PhD Candidate in Economics at Harvard University
Non è trascorso un giorno del mio primo anno di dottorato ad Harvard senza che ripetessi lo stesso gesto: salire al secondo piano del dipartimento e guardare se la porta dell'ufficio di Alberto fosse aperta. Spesso mi sono ritrovato nel suo ufficio senza nemmeno accorgermi del perché. La verità è che molte volte non c'era un motivo, era l'istinto a portarti da Alberto. Come ha scritto Francesco Giavazzi, amico di una vita di Alberto, infinita era la sua umanità, indomabile la sua passione per la ricerca. La sua umanità e la passione, assieme alla sua straordinaria generosità, lo hanno reso un maestro, mentore e amico unico per noi studenti. Dove altro avrebbe potuto condurci l'istinto se non da Alberto, che con uno sguardo sapeva restituirci gioia, serenità e fiducia? Mi manchi, Alberto.

Armando Miano
Alumnus Bocconi 2015
PhD Candidate in Economics, Harvard University
Lavorare con Alberto è stata un’esperienza estremamente arricchente. Continuo a meravigliarmi di quanto fosse umile con i suoi studenti e giovani coautori. Non solo era sempre contento di sentire opinioni e suggerimenti, trattandoti da pari, era disponibile ad ammettere la sua ignoranza ed era entusiasta di imparare da te. Anche se in realtà era lui quello che insegnava a tutti: quando eravamo persi in dettagli o faticavamo ad interpretare certi risultati, Alberto tirava fuori l’intuizione formidabile per fare chiarezza e dare una svolta al progetto, pensando sempre alle domande importanti.
Quando si parlava di idee di ricerca Alberto era esigente, ma una volta convinto delle potenzialità del progetto ti sosteneva con un entusiasmo contagioso, che ti spingeva a dare il massimo e ti motivava nei momenti di difficoltà. Alberto non si interessava ai suoi studenti e collaboratori solo dal punto di vista accademico, ma era anche particolarmente attento alla vita di ciascuno. Questa sua attenzione alle persone rendeva il lavoro accademico più umano, e alimentava un senso di comunità, che tuttora unisce i suoi amici e allievi.
 
Giorgio Saponaro
Alumnus Bocconi 2016

PhD Candidate in Economics at Harvard University
Ho avuto la fortuna di conoscere Alberto fin da quando ero studente in triennale e potei subito notare il suo spirito fanciullesco che comunicava con uno sguardo tra l'interrogativo e il divertito, in conversazioni fatte di domande inattese, che si aspettavano risposte altrettanto dirette. La naturale soggezione che provavo verso un'autorità accademica papale come la sua venne rimpiazzata presto da una scanzonata irriverenza reciproca. Infatti lui non si prendeva sul serio:  
  • “Alberto che corsi insegni il secondo semestre?” 
    R: “Nel secondo semestre non si insegna: si scia!”
    - “Allora se passi dalle Dolomiti, avvertimi”
    R: “Su quelle collinette non scio neanche per sogno” 
La sua informalità velatamente comica ti portava ad invitarlo a casa tua per lavorare perché, essendo lui sempre in viaggio, aveva dimenticato le chiavi dell'ufficio. Era così abituato ad attraversare l'Atlantico che non riusciva ad uscire dal parcheggio del Dipartimento di Harvard senza impostare il navigatore, puntualizzando che “uscire di qui è piuttosto complicato”. Con lui potevi scherzare di tutto, anche di ciò che non gli piaceva affatto: invecchiare. Parlando di un articolo che stavamo scrivendo insieme e che non ci decidevamo ad ultimare, gli dissi: “Alberto cerchiamo di finire questo paper prima che tu vada in pensione”, ricavandone una pronta risposta: “Guarda che non ci andrò mai: scriverò i miei articoli migliori quando avrò ottant'anni”.  
Lavorare e parlare con lui significava evitare argomenti banali, arrivare al cuore della questione con una rapidità stupefacente. Un problema a cui avevi pensato per dei pomeriggi veniva colto da lui in mezzo minuto, nonostante gli piacesse prendersi in giro da solo sostenendo di non avere grande conoscenza tecnica empirica e di sapere “l'econometria della quinta elementare” o con uscite come “questo articolo di Tom Sargent lo capisco di più se lo leggo al rovescio”.  
La sua fiducia nelle tue capacità era totale, di certo troppa, ma non cieca: “Non sottovalutate mai la mia capacità di tradurre cose complicate che non capisco in cose semplici che capisco" ci ammonì mentre ragionavamo sulla redazione del suo ultimo libro con Carlo Favero e Francesco Giavazzi. Ed era vero: trovava una soluzione con intuito fenomenale. 
Quel suo modo di mettersi al tuo stesso livello, se non al di sotto, e di trattare un problema con schietta praticità, una punta di lucido scetticismo, è ciò che provo a copiare di lui quando insegno a mia volta. Ma senza il talento dell'originale. 

Awa Ambra Seck
alumna 2017
PHD Candidate at Harvard University
L'ultima volta che ho incontrato Alberto eravamo nel suo ufficio. Mi sono seduta sul suo comodo divano di pelle, lui si è seduto sulla sedia di fronte a me e, con uno sguardo deciso, mi ha dato consigli seri e concreti su come affrontare la ricerca. Li ho ascoltati e applicati ed è stato così prezioso. Da allora ci siamo incontrati solo virtualmente e abbiamo parlato soprattutto della vita durante e prima della pandemia. Era un sostegno reciproco, così umano, così gentile, così necessario. L'ultimo ricordo che ho di lui è lo zoom: i capelli scompigliati, la fronte, la parte superiore degli occhiali, una mano alzata e una risata. La sua risata, che con la sua ironia rendeva più facili le situazioni difficili, più leggeri i laboratori apparentemente ad alto rischio e più interessante ogni lezione. Questo era Alberto per me, un essere premuroso, solidale e immensamente gentile. Mi manca molto; manca a tutti noi.

Marco Tabellini 
Alumnus Bocconi 2011
Assistant professor of Business administration, Harvard University

Alberto è stata una delle persone più importanti della mia vita, non solo dal punto di vista professionale ma anche, e soprattutto, personale. Alberto aveva così tante qualità che non basterebbe un libro per descriverle tutte. Vorrei ricordarne una in particolare: la sua generosità. Alberto era sempre disponibile a parlare con noi, suoi studenti, ascoltandoci e prendendo sempre sul serio le nostre opinioni. Non era mai troppo tardi, la sua porta era sempre aperta e anche dopo una giornata di sci o di lezione, trovava il tempo per una chiamata su skype per discutere dei nuovi risultati, di una nuova idea, o semplicemente per ascoltare le nostre difficoltà. Era una generosità incondizionata: non importava se si fosse uno studente di Harvard, di Boston University o del technical college on the river (come Alberto chiamava scherzosamente MIT).  
La generosità di Alberto era pari a quella di Susan, che è la mamma di tutti noi suoi studenti qui a Boston. La porta di casa loro era sempre aperta, un po' come quella dell'ufficio di Alberto. Quante volte siamo stati invitati a cena da loro, rimanendo fino a tardi (con Alberto e Susan che cascavano dal sonno perché non ce ne andavamo più a casa), mangiando come lupi. Grazie alla sua generosità, Alberto ha creato un network che resterà, spero, per sempre. Alberto e Susan hanno creato una comunità di ragazzi che erano studenti e che ora sono cresciuti o stanno crescendo e che saranno sempre uniti da ciò che Alberto è stato e ha fatto per tutti noi. Quando, oggi, interagisco con gli studenti, mi piace pensare ad Alberto, cercando di fare almeno un millesimo di ciò che lui ha fatto per me. Alberto rimarrà per sempre nella mia vita. 

Francesco Trebbi
Alumnus Bocconi 1999
Bernard T. Rocca Jr. Professor of Business and Public Policy, Haas School of Business; University of California Berkeley 
Il mio ricordo più caro di Alberto sarà sempre quello di com'era come advisor. Il suo ufficio aveva la porta sempre aperta (una rarità a Harvard) e lui offriva una capacità di vedere aspetti interessanti in ogni idea. Mai mi sono sentito in un ruolo che non fosse di pari intellettuale con lui - fin dall'inizio della mia carriera e poi più avanti negli anni. Spesso quando ho uno studente in difficoltà nel mio ufficio, penso a lui. Una delle più grandi soddisfazioni professionali della mia carriera è stata poter dirigere il programma dell'NBER di political economy che lui aveva fondato, cercando di mantenere la sua stessa apertura intellettuale, curiosità e originalità.  
 

di Barbara Orlando

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